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Messaggio Da anna Gio 6 Ott - 9:42

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Messaggio Da anna Gio 6 Ott - 10:23

Stay hungry, stay foolish. Steve Jobs 1955-2011




Il testo integrale in italiano del discorso di Stanford

Voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie. La prima storia è su una cosa che io chiamo 'unire i puntini' di una vita. Quand'ero ragazzo, ho abbandonato l'università, il Reed College, dopo il primo semestre. Ho continuato a seguire alcuni corsi informalmente per un altro anno e mezzo, poi me ne sono andato del tutto. Perché l'ho fatto? è iniziato tutto prima che nascessi. La mia mamma biologica era una giovane studentessa universitaria non sposata e quando rimase incinta decise di darmi in adozione. Voleva assolutamente che io fossi adottato da una coppia di laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare sin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però, quando arrivai io, questa coppia - all'ultimo minuto - disse che voleva adottare una femmina. Così, quelli che poi sarebbero diventati i miei genitori adottivi, e che erano al secondo posto nella lista d'attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: "C'è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?". Loro risposero: "Certamente!". Più tardi la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva mai finito il college e l'uomo non si era nemmeno diplomato al liceo. Allora la mia mamma biologica si rifiutò di firmare le ultime carte per l'adozione. Poi accettò di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college. Questo è stato l'inizio della mia vita.

Così, come stabilito, parecchi anni dopo, nel 1972, andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno troppo costoso, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l'ammissione e i corsi. Dopo sei mesi non riuscivo a trovarci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta una vita.

Così decisi di mollare e di avere fiducia, che tutto sarebbe andato bene lo stesso.

Era molto difficile all'epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso in vita mia.

Nel momento in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a entrare nelle classi che trovavo più interessanti.

Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca-Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e potermi comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio degli Hare Krishna: l'unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.

Il Reed College all'epoca offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del Paese. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri con e senza le 'grazie', capii la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era bello, ma anche artistico, storico, e io ne fui assolutamente affascinato.

Nessuna di queste cose, però, aveva alcuna speranza di trovare un'applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo per il Mac. è stato il primo computer dotato di capacità tipografiche evolute. Se non avessi lasciato i corsi ufficiali e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente, all'epoca in cui ero al college era impossibile per me 'unire i puntini' guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all'indietro.

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Messaggio Da ubik Mar 18 Ott - 14:47

(ANSA) - ROMA, 18 OTT - E' morto il poeta Andrea Zanzotto.

Era ricoverato da alcuni giorni all'ospedale di Conegliano (Treviso) e aveva festeggiato 90 anni il 10 ottobre scorso. Zanzotto era stato ricoverato per un improvviso peggioramento delle condizioni generali. Il poeta soffriva di problemi di natura cardiaca e respiratoria.


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Messaggio Da ubik Mar 18 Ott - 14:51

Addio ad Andrea Zanzotto
La passione civile di un poeta


L'artista (e insegnante) è morto oggi all'età di novant'anni. Era nato a Pieve di Soligo il 10 ottobre 1921. Cresciuto in una famiglia anti-fascista, partecipò alla Resistenza, ha collaborato anche per il Corriere della Sera.
Che sarà della neve/che sarà di noi?/Una curva sul ghiaccio/e poi e poi… Inizia così «Sì, ancora la neve”, una delle più ispirate poesie di Andrea Zanzotto, il grande poeta morto oggi, a novant’anni, all’ospedale di Conegliano Veneto.

…che sarà del libero arbitrio e del destino/e di chi ha perso nella neve il cammino… continua il testo. E già da questi pochi versi si intuiscono le tematiche care al poeta che sempre nella sua lunga vita è stato in prima fila nelle battaglie per la giustizia sociale e per la difesa dell’ambiente.

La passione civile Zanzotto, nato e cresciuto a Pieve di Soligo il 10 ottobre 1921, l’ereditò dal padre, insegnante di disegno antifascista. “Già nella lontana infanzia, mi fu duro avvertire la situazione anomala della mia famiglia, in lotta con la precarietà. Si era reso difficilissimo il lavoro a mio padre per la sua opposizione al regime. Poteva mancare da un giorno all’altro il sostentamento”, raccontò in un’intervista anni fa. “Nel nostro paese pochi avevano votato contro il fascio nel plebiscito del 1929, e fra questi c’era mio padre, cosa che tutti sapevano. Ricordo che la maestra a scuola ci aveva presentato sulla lavagna la scheda elettorale col “sì” e tutti i bambini dovevano ricopiarla. Io invece, memore degli insegnamenti familiari, ho scritto “no”».

Fu dunque naturale, per lui, partecipare alla Resistenza, dove militò in Giustizia e libertà. Intanto, si era laureato in Lettere all’Università di Padova dove aveva avuto come maestri come Diego Valeri e Concetto Marchesi. Dopo una breve permanenza all’estero, in Svizzera e in Francia, nel 1947 rientrò in Italia e si dedicò all’insegnamento.

I primi a riconoscere le sue doti furono i grandi poeti che componevano la giuria del premio San Babila (Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni) che gli attribuirono il primo premio per un gruppo di poesie, composte tra il 1940 e il 1948, che sarà poi pubblicato nel 1951 con il titolo Dietro il paesaggio.

Poeta molto prolifico, non abbandonò mai la professione di insegnante, alla quale affiancò quella di critico letterario: scrisse per L’Approdo letterario, Nuovi argomenti, Il Giorno, L’Avanti!, Il Corriere della sera. Fra i suoi più importanti volumi in versi va senz’altro ricordato il volume La beltà (1968), tuttora considerato la raccolta fondamentale della sua opera.

Sempre attento all’attualità, non solo politica, nel 1969 pubblicò Gli sguardi, i fatti e Senhal, scritto subito dopo lo sbarco sulla luna. Un incontro fondamentale fu quello, nel 1976, con Federico Fellini, con il quale collaborò per il Casanova. Nel 1970 scrisse poi alcuni dialoghi e stralci della sceneggiatura de La città delle donne.

Poeta sperimentale (“L’idea dello sperimentalismo l’ho sempre implicitamente accettata perché non ho mai creduto a una poesia “immobile”, pur avendo sempre davanti modelli classici, irrinunciabile luce ed enigma) Zanzotto non ha fatto parte di gruppi e correnti letterarie: “Io credevo alle amicizie, alle sintonie parziali, non ai gruppi. Il gruppo rappresentava per me la gestione di qualcosa di extraletterario, mentre io pensavo che ognuno dovesse seguire la sua strada e poi confrontarsi con gli altri”.

Tutta la sua poetica ha ruotato attorno all’uomo e ai suoi misteri: “L’uomo sta ribollendo nel proprio enigma, e la poesia non può dare che dei lampi di “consolazione”, nei quali appare ancora il miraggio dell’autofondazione e dell’autogiustificazione dell’essere. In essa c’è dunque un qualche valore, almeno provvisorio. Ma il quadro che abbiamo di fronte è quello di una catastrofe “ecologica” della mente».

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Messaggio Da anna Lun 28 Nov - 12:32

Addio a Ken Russell, regista visionario
tra diavoli, allucinazioni e opera rock
Il grande regista, tra i più trasgressivi e barocchi della storia del cinema, è morto a 84 anni. L'esordio in tv, poi il boom coi grandi titoli degli anni Settanta e Ottanta: da "Donne in amore" a "China Blue", passando per "Tommy". Grande talento, grande ego e una massima: "Voglio fare solo film illuminanti"



Addio a uno dei più trasgressivi, visionari, originali cineasti di sempre: Ken Russell, regista e sceneggiatore britannico, è morto in ospedale, a 84 anni. Lo ha annunciato il figlio Alex. L'autore di tanti film diventati cult - tra cui I Diavoli, Tommy, Lisztomania, Stati di allucinazione - lascia in eredità, oltre alle sue opere, un'idea di cinema estrema, inconfondibile: contenuti forti, spesso fantastici, con molto sesso e sangue, abbinati a uno stile psichedelico e opulento. Con alcuni marchi di fabbrica subito riconoscibili, per i suoi ammiratori: dall'uso insistito dei colori primari all'ossessione per le scene con il fuoco e per i rituali mistici di vario tipo. "La vita è troppo breve - era una delle sue frasi celebri - per fare pellicole su gente che non piace: meglio realizzare opere illuminanti come le mie".

GUARDA: LE LOCANDINE DEI SUOI CULT 1- SCHEDA: LA FILMOGRAFIA 2

Nasce nel 1925 a Southampton, Henry Kenneth Alfred Russell. E prima di trovare la sua vera strada - quella dietro la macchina da presa - si cimenta in diversi lavori: fotografo, ballerino, militare nell'esercito. Ma poi, fra le arti che lo attraggono, è la settima,
cioè il cinema, a catturarlo. Dopo varie produzioni in tv, o in documentari, la sua prima opera ad attrarre l'attenzione planetaria risale al 1969, ed è Donne in amore: un successo di critica immediato, da cui il regista comincia la sua ascesa nel mondo degli autori indipendenti.

E un talento come il suo - ricco, per certi versi barocco, lisergico, attentissimo sul piano visivo a ogni più piccolo dettaglio - non poteva che esplodere negli anni Settanta: decennio di sperimentazione, di rottura delle regole del passato. Per lui, un crescendo di successi, e la formazione di uno stile che è e resta inimitabile. Tra le tappe principali di questo percorso vanno citati I Diavoli (1971); Messia selvaggio (1972); La perdizione (1974); Lisztomania e Tommy (1975, rock-opera degli Who); Valentino (1977).

Arriviamo così agli anni Ottanta, che nel cinema in generale rappresentano una sorta di normalizzazione, un ritorno a opere mediamente più commerciali e convenzionali. Ma Russell, pur risentendo in qualche modo del clima dell'epoca, continua nella sua poetica di eccessi visivi (e non solo), con Stati di allucinazione (1980) China Blue (1984), Gothic (1986), L'ultima Salomé (1988). Gli anni Novanta, invece - a parte alcune opere per il grande schermo, come Whore-Puttana (1991) - sono caratterizzati da un ritorno di fiamma per la tv, con progetti come Lady Chatterly e Oltre la mente. Nel nuovo Millennio, la sua attività si dirada, concentrandosi su qualche documentario o poco più. Ma si capisce che la vena creativa, così particolare, del regista, in parte si è esaurita. Il suo posto nella storia del cinema, però, è assicurato. Non troppo lontana da quello di Roman Polanski: entrambi affascinati da alcuni temi ricoerrenti - in particolare - in particolare il Male, nelle sue coniugazioni sia "umane" che paranormali - ma con stili decisamente diversi.

Russell, del resto, era un uomo di grandi passioni anche nella vita privata: ha avuto quattro matrimoni, quattro divorzi, cinque figli. Sul piano professionale, invece, aveva un'idea chiara del suo posto speciale, nel mondo dei grandi cineasti. Come dimostra il celebre episodio del suo incontro con Federico Fellini, a Cinecittà: parlarono brevemente, poi si definirono reciprocamente "il Fellini inglese" e "il Ken Russell italiano". Due grandi talenti, con due "ego" altrettanto grandi: ma sicuramente loro potevano permetterselo.

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Messaggio Da ubik Lun 28 Nov - 18:33

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Messaggio Da anna Mar 29 Nov - 9:53

Il suicidio assistito di Lucio Magri
l'addio ai compagni: "Ho deciso di morire"
Il fondatore del Manifesto morto in Svizzera ha deciso tutto con lucidità; dalla fine alla sepoltura vicino alla sua Mara. Gli amici hanno tentato di dissuaderlo ma lui era depresso per la morte della moglie


E ALLA FINE la telefonata è arrivata. Sì, tutto finito. Ora si rientra in Italia. Alle pompe funebri aveva provveduto lo stesso Lucio Magri, poco prima di partire per la Svizzera. Era il suo ultimo viaggio, così voleva che fosse. Non ce la faceva a morire da solo, così il suo amico medico l'avrebbe aiutato. Là il suicidio assistito è una pratica lecita, anche se poi bisogna vedere nei dettagli, se ci sono proprio le condizioni. Ma ora che importa? Che volete sapere? Non fate troppi pettegolezzi, l'aveva già detto qualcun altro ma in questi casi non conta l'originalità.

S'era raccomandato con i suoi amici più cari, quelli d'una vita, i compagni del Manifesto. Non voglio funerali, per carità, tutte quelle inutili commemorazioni. Necrologi manco a parlarne. Luciana si occuperà della gestione editoriale dei miei scritti. Per gli amici e compagni lascio una lettera, ma dovete leggerla quando sarà tutto finito. Sì, ora è finito. La notizia può essere resa pubblica. Lucio Magri, fondatore del Manifesto, protagonista della sinistra eretica, è morto in Svizzera all'età di 79 anni. Morto per sua volontà, perché vivere gli era diventato intollerabile.
A casa di Lucio Magri, in attesa della telefonata decisiva. È tutto in ordine, in piazza del Grillo, nel cuore della Roma papalina e misteriosa, a due passi dalla magione dove morì Guttuso, pittore amatissimo ma anche avversario sentimentale. Niente sembra fuori posto, il parquet chiaro, i divani bianchi, i libri sulla scrivania Impero, la collezione del Manifesto vicina a quella dei fascicoli di cucina, si sa che Lucio è un cuoco raffinato. Intorno al tavolo di legno chiaro siede la sua famiglia allargata, Famiano Crucianelli e Filippo Maone, amici sin dai tempi del Manifesto, Luciana Castellina, compagna di sentimenti e di politica per un quarto di secolo. No, Valentino non c'è, Valentino Parlato lo stiamo cercando, ma presto ci raggiungerà. In cucina Lalla, la cameriera sudamericana, prepara il Martini con cura, il bicchiere giusto, quello a cono, con la scorza di limone. Cosa stiamo aspettando? Che qualcuno telefoni, e ci dica che Lucio non c'è più.

Da questa casa Magri s'è mosso venerdì sera diretto in Svizzera, dal suo amico medico. Non è la prima volta, l'aveva già fatto una volta, forse due. Però era sempre tornato, non convinto fino in fondo. Ora però è diverso. Domenica mattina rassicura gli amici: "Ma no, non preoccupatevi, torno domani". La sera il tono cambia, si fa più affannato, indecifrabile, chissà. Il lunedì mattina appare sereno, lucido, determinato. Ha scelto, e dunque il più è fatto. Bisogna solo decidere, e poi basta chiudere gli occhi. L'ultima telefonata nel pomeriggio, verso le sedici. Poi il silenzio.

Una depressione vera, incurabile. Un lento scivolare nel buio provocato da un intreccio di ragioni, pubbliche e private. Sul fallimento politico - conclamato, evidentissimo - s'era innestato il dolore privato per la perdita di una moglie molto amata, Mara, che era il suo filtro con il mondo. "Lucio non sapeva usare il bancomat né il cellulare", racconta una giovane amica. Mara che oggi sorride dalle tante fotografie sugli scaffali, vestita color ciclamino nel giorno delle nozze. Un vuoto che Magri riempie in questi anni con le ricerche per il suo ultimo libro, una possibile storia del Pci che certo non a caso titola Il sarto di Ulm, il sarto di Brecht che si sfracella a terra perché non sa volare. Ucciso da un'ambizione troppo grande, così almeno appare ai suoi contemporanei. Anche Magri voleva volare, voleva cambiare il mondo, e il mondo degli ultimi anni gli appariva un'insopportabile smentita della sua utopia, il segno intollerabile di un fallimento, la constatazione amarissima della separazione tra sé e la realtà. Così le ali ha deciso di tagliarsele da sé, ma evitando agli amici lo spettacolo del sangue sul selciato.

Aspettando l'ultima telefonata, a casa Magri. Lalla, la cameriera peruviana, va a fare la spesa per il pranzo, vi fermate vero a colazione? E' affettuosa, Lalla, ha ricevuto tutte le ultime disposizioni dal padrone di casa. No, non ha bisogno di soldi per il pranzo, ci sono ancora quelli vecchi che lui le ha lasciato. È stata lei ad assistere Mara nei tre anni di agonia per il brutto tumore, e poi ha visto spegnersi lui, sempre più malinconico, quasi blindato in casa. Ogni tanto qualche amico, compagno della prima ora. Ma dai, reagisci, che fai, ti lasci andare proprio ora? Ora che esce l'edizione inglese del tuo libro? E poi quella argentina, e quella spagnola? Dai, ripensaci, c'è ancora da fare. Ma lui non era convinto. Non poteva fare più nulla. Lucido e razionale, fino alla fine. E poi s'era spenta la sua stella, così scrive anche nell'ultima lettera ai compagni.

Sembra tutto surreale, qui in piazza del Grillo, tra squilli di telefono e porte che si aprono. Arriva Valentino, invecchiato improvvisamente di dieci anni. Lo accolgono con calore. No, non sappiamo ancora niente. Aspettiamo. Ricordi privati e ricordi pubblici, lui grande giocatore di scacchi, lui grande sciatore, lui politico generoso che preparava i documenti e nascondeva la sua firma. Ma attenzione a come ne scrivete, non era un vanesio, non era un mondano. Dalle fotografie sui ripiani occhieggia lui, bellissimo e ancora giovane, un'espressione tra il malinconico e il maledetto. Dietro la foto più seducente, una dedica asciutta. "A Emma, il suo nonno". Neppure Emma, la bambina di sua figlia Jessica, è riuscito a fermarlo.

Poi la telefonata, quella che nessuno avrebbe voluto mai ricevere. Ora davvero è finita. Le pompe funebri andranno a prelevarlo in Svizzera, tutto era stato deciso nel dettaglio. L'ultimo viaggio, questo sì davvero l'ultimo, è verso Recanati, dove sarà seppellito vicino alla sua Mara, nella tomba che lui con cura aveva predisposto dopo la morte della moglie. Luciana Castellina s'appoggia allo stipite della porta, tramortita: "Non avrei mai immaginato che finisse così". Il tempo dell'attesa è concluso, comincia quello del dolore.

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Messaggio Da anna Gio 1 Dic - 20:39

Addio a Christa Wolf, cronistadella Germania del dopoguerra
L'autrice di «Cassandra» e «Un cielo diviso» aveva 82 anni


La scrittrice Christa Wolf, uno dei massimi autori tedeschi, è morta. Lo riferisce Der Spiegel. L'autrice di Cassandra e Il cielo diviso aveva 82 anni. Il decesso è avvenuto a Berlino al termine di una lunga malattia.
CRONISTA DELLA DDR - Lo Spiegel la ricorda come «una delle maggiori scrittrici tedesche del dopoguerra e la più importante cronista della Ddr e della spartizione tedesca». Nata nell'attuale Polonia, la Wolf trascorse l'infanzia sotto il nazismo ma alla fine della Seconda Guerra Mondiale si ritrovò nella Germania Est. Laureata in germanistica all'università di Jena, negli anni '50 sposò lo scrittore Gerhard Wolf. Dal 1962 lavorò come critica letteraria presso la rivista dell'Unione degli Scrittori della DDR «Neue Deutsche Literatur». Raggiunse la notorietà con Il cielo diviso (Der geteilte Himmel, 1963). Nel 1963 le fu assegnato il premio Heinrich Mann e nel 1964 il romanzo ricevette una riduzione cinematografica per il cinema dal regista Konrad Wolf. Negli anni successive le sue altre grandi opere, Riflessioni su Christa T. (Nachdenken über Christa T., 1968), Trama d'infanzia (Kindheitsmuster, 1976), Cassandra (Kassandra, 1983) e Medea.

CHRISTA E IL MURO - La sua figura è stata particolarmente importante (e controversa) nei convulsi periodi che portarono alla caduta del Muro di Berlino. Dopo il crollo fu rivelata la collaborazione della scrittrice con la Stasi: la cosa provocò una ondata di polemiche e l'autrice venne difesa solo dal suo amico di una vita, il Nobel Guenter Grass.

corriere.it
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Messaggio Da anna Dom 18 Dic - 17:36

Repubblica Ceca, è morto Havel
eroe della rivoluzione di velluto
Il primo capo dello Stato post comunista si è spento all'età di 75 anni. Politico, drammaturgo e attivista dei diritti umani, era da tempo malato. Artefice della rivolta pacifica dell'89, presidente anche dopo la separazione dalla Slovacchia, fu il principale fautore dell'entrata della Repubblica ceca nella Nato

Rivoluzionario della non violenza e grande intellettuale, martire della repressione nell'"Impero del Male" sovietico e sempre fautore del dialogo: con Vaclav Havel, leader dell'opposizione democratica clandestina sotto il comunismo, ispiratore della "rivoluzione di velluto" non violenta nell'autunno 1989 e poi capo dello Stato della Cecoslovacchia tornata alla democrazia, l'Europa e il mondo perdono una delle maggiori figure degli ultimi decenni, quasi una versione laica di Giovanni Paolo II. Con Lech Walesa e con papa Karol Wojtyla, con Jacek Kuron, Bronislaw Geremek e Adam Michnik, Havel fu uno dei massimi ispiratori della rivoluzione democratica che, iniziata con i movimenti dissidenti e poi partita nell'agosto 1980 a Danzica, Polonia, con l'alleanza per la libertà tra intellettuali e operai, nel 1989 rovesciò le dittature dell'Est e portò alla riunificazione dell'Europa.

"Una donna non può essere mezza incinta: o è incinta o non lo è, o aspetta un bambino o no. Così è anche per i sistemi politici: la mezza democrazia non esiste, la democrazia c'è o non c'è". Così mi disse la prima volta che lo incontrai, nell'umile appartamentino di Leninova ulice alla periferia operaia di Praga, dove - sorvegliato giorno e notte dalla Stb, Statnì tajna bezpecnost, la spietata polizia segreta - insieme alla moglie Olga riceveva instancabile i giornalisti del mondo libero in ogni momento in cui non era in prigione.

Anni dopo, lo rividi insieme a Paolo Garimberti, ma al Palazzo presidenziale, il fastoso castello di Hradcany che domina la splendida Praga, dopo la 'rivoluzione di velluto'. La dittatura era caduta. E lui, eroe della lotta non violenta, era stato eletto plebiscitariamente presidente della risorta democrazia. Ricordò con humor quella battuta, "beh, sì, adesso si può parlare di gravidanza".

Umorismo e ironia non avevano mai lasciato Vaclav, nemmeno nei decenni più bui. Nato il 5 ottobre 1936, era figlio d'una ricca e colta famiglia borghese, in quegli anni in cui, prima dell'invasione nazista del 1938 (dopo che alla vergognosa conferenza di Monaco Francia e Regno Unito avevano dato a Hitler mano libera a est) la Cecoslovacchia era la sesta potenza economica e industriale del mondo, il paese moderno, democratico e civile che inventò lenti a contatto e motori Porsche. Vaclav crebbe in quel clima tra borghesi illuminati. Il padre, Vaclav Maria Havel, era proprietario d'un intero quartiere operaio, la madre Bozena Vavreckova fu diplomatica e giornalista di grido. Nel 1948 nell'Europa divisa tra parte libera (quella liberata dagli angloamericani) e centro-est occupato dall'Urss, il Partito comunista cecoslovacco vinse le elezioni politiche, promettendo di mantenere la democrazia. Non fu così. Il nuovo governo rifiutò il Piano Marshall, instaurò il totalitarismo del partito unico, e i dittatori che si susseguirono (Klement Gottwald, poi Antonìn Novotny) prendevano sempre e solo ordini da Mosca. L'avanzata struttura industriale fu asservita all'Urss, migliaia di prigionieri politici morirono contaminati dalle radiazioni perché deportati a lavorare nelle miniere d'uranio per l'atomica di Stalin.

Al giovane Vaclav, figlio di borghesi espropriati di tutto, fu vietato in nome dell'"odio di classe" stalinista l'accesso all'università. Vaclav si mantenne la vita con umili lavori e terminò gli studi serali, poi cominciò a studiare da solo inglese e tedesco, le lingue che dopo avrebbe continuato a perfezionare anche in prigione. Partecipò come simpatizzante, da giovane drammaturgo alla Primavera di Praga, il tentativo di riforma del socialismo reale che Alexander Dubcek (eletto segretario generale del Pc a gennaio 1968) tentò. Dubcek e il suo team di comunisti riformatori (Zdenek Mlynar che aveva studiato insieme a Gorbaciov, Ota Sik, Eduard Goldstucker, Jiri Hajek) speravano di far coesistere socialismo e democrazia. Furono otto mesi di sogno, dibattito libero e speranze. Stroncati all'alba del 21 agosto dall'invasione sovietica. Il leader sovietico Leonid Breznev, allora numero uno al Cremlino, aveva ordinato la guerra - cui parteciparono anche i paesi satelliti Romania esclusa - per fermare le riforme. Seguì la 'normalizzazione', una brutale ondata repressiva e di purghe che eliminò dal Pc, dallo Stato, dall'economia e dall'università ogni simpatizzante delle riforme. La Cecoslovacchia cadde nel buio, nel declino economico e nella corruzione più spaventosa.

Havel fu cronista dell'invasione e della resistenza non violenta del popolo nei commenti quotidiani di Radio Cecoslovacchia libera, che poi gli invasori individuarono e chiusero. Per anni si guadagnò da vivere lavorando in una birreria. Continuò a scrivere i suoi drammi. E nel 1977, in risposta a un ottuso atto repressivo del regime (un'intera rock band, popolarissima, i Plastic people of the universe, era finita in galera) Havel e altri dissidenti firmarono la Charta 77. Fu il manifesto per la democrazia, chiedeva una lotta non violenta e una resistenza passiva, scriveva che ormai dopo l'invasione erano morte le speranze di cambiare il sistema dall'interno.

Charta 77 fu una svolta importante nella lotta per la libertà nell'impero sovietico. Sfidando la repressione, agì in contatto con gli oppositori polacchi del Kor (Comitato di difesa dei lavoratori, di Kuron, Michnik, Geremek) e altri gruppi di dissenso. Havel pagò con anni di prigione, che poi raccontò nello splendido, autobiografico Lettere a Olga. "Verità e amore devono prevalere su menzogna e odio", era il suo motto.

Con l'inizio nel 1980 della rivoluzione polacca, poi con l'arrivo di Gorbaciov a Mosca, il regime neostalinista instaurato dai Panzer di Breznev a Praga era sempre più isolato. Mosca dove cominciava la perestrojka, e al suo fianco Varsavia dove la giunta del generale Jaruzelski aprì trattative con Solidarnosc, il movimento democratico-rivoluzionario, non violento come le idee di Havel e di Wojtyla. Le elezioni semilibere polacche, vinte dai democratici (i generali scavalcarono il Pc e nominarono premier Tadeusz Mazowiecki, intellettuale di Solidarnosc amico di Havel e del Papa) fu la svolta. Uno dopo l'altro, i regimi neostaliniani caddero, rovesciati da manifestazioni di massa per la democrazia. Cadde Praga, cadde a Berlino Est il Muro e con esso la dittatura, cadde con una sanguinosa guerra civile la tirannide di Ceausescu.

Alle libere elezioni del 1990 Havel trionfò come presidente. Lui, gli altri democratici, e il vecchio Dubcek presidente del Parlamento, restaurarono la libertà e rilanciarono un'economia rovinata da dittatura e sfruttamento coloniale sovietico: da sesta potenza economica mondiale la Cecoslovacchia era divenuta paese più povero del Portogallo. Non riuscirono a evitare la secessione della Slovacchia. Ma portarono la Repubblica cèca nella Nato e nell'Unione europea, di cui oggi sia Repubblica cèca stessa sia Slovacchia sono prosperi, affidabili membri.

Havel fu presidente cèco fino al 2003. Affrontò prove dolorose: dalla morte della moglie Olga, nel 1996, al cancro al polmone, che lo colpì nello stesso anno imponendogli pesanti terapie. Anche dopo aver lasciato l'incarico, continuò il suo attivismo intellettuale e letterario, con a fianco la giovane, bellissima attrice Dagmar Veskrnova come compagna dell'ultima parte della vita. Vaclav non si risparmiava, anzi si divertì anche a partecipare ai lavori di un film sulla sua vita. In un memorabile servizio esclusivo, il collega Nicola Lombardozzi, che lo conosceva bene, narrò su Repubblica i giorni sul set 1 insieme al presidente-intellettuale-rivoluzionario. Leader come Havel, all'est e nel mondo in generale, sono sempre più rari.

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Messaggio Da anna Dom 25 Dic - 18:06

E' morto Giorgio Bocca, ha raccontato l'Italia
Tra i grandi protagonisti del giornalismo italiano ha raccontato nei suoi articoli e nei suoi libri l'ultimo mezzo secolo di vita italiana


E' morto oggi pomeriggio nella sua casa di Milano, dopo una breve malattia, Giorgio Bocca. Lo rende noto la casa editrice Feltrinelli.

Tra i grandi protagonisti del giornalismo italiano, Giorgio Bocca, scomparso oggi all'eta' di 91 anni, ha raccontato nei suoi articoli e nei suoi libri l'ultimo mezzo secolo di vita italiana con rigore analitico e passione civile, improntando sempre il suo stile alla sintesi e alla chiarezza.

Nato a Cuneo il 28 agosto del 1920, Bocca inizio' a scrivere gia' a meta' degli anni '30, su periodici locali e poi sul settimanale cuneese La Provincia Grande. Durante la guerra si arruolo' come allievo ufficiale alpino e dopo l'armistizio fu tra i fondatori delle formazioni partigiane di Giustizia e Liberta'. Riprese allora l'attivita' giornalistica, scrivendo per il giornale di GL, poi lavorando per la Gazzetta del Popolo, per l'Europeo e per Il Giorno e segnalandosi per le grandi inchieste. Nel 1976 fu tra i fondatori del quotidiano la Repubblica, con cui ha sempre continuato a collaborare. Al suo attivo, in una carriera cinquantennale, anche numerosi libri, che spaziano dall'attualita' politica e dall'analisi socioeconomica all'approfondimento storico e storiografico, senza mai dimenticare la sua esperienza partigiana. Tra le sue opere: Storia dell'Italia partigiana (1966); Storia dell'Italia nella guerra fascista (1969); Palmiro Togliatti (1973); La Repubblica di Mussolini (1977); Il terrorismo italiano 1970-78 (1978); Storia della Repubblica italiana - Dalla caduta del fascismo a oggi (1982); Il provinciale. Settant'anni di vita italiana (1992); L'inferno. Profondo sud, male oscuro (1993); Metropolis (1994); Piccolo Cesare (2002, dedicato al fenomeno Berlusconi, libro che segno' il passaggio di Bocca da Mondadori, suo editore da oltre dieci anni, a Feltrinelli); Le mie montagne (2006); E' la stampa, bellezza (2008). Annus Horribilis, Milano, Feltrinelli (2010). Fratelli Coltelli (1948-2010 L'Italia che ho Conosciuto), Milano, Feltrinelli (2010). Nell'aprile 2008 Bocca ha vinto il premio Ilaria Alpi alla carriera.
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Messaggio Da ubik Dom 25 Dic - 23:46

Addio a..... - Pagina 5 16239 mannaggia, ecco perchè era sparito da qualche settimana il suo articolo sul Venerdì di Repubblica
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Messaggio Da anna Dom 15 Gen - 20:04

Addio allo scrittore Carlo Fruttero
Aveva 85 anni. Celebre in coppia con Franco Lucentini


È morto a 85 anni, nella sua casa di Castiglione della Pescaia, lo scrittore Carlo Fruttero. Era nato a Torino il 19 settembre del 1926. Il suo nome è strettamente legato a quello di Franco Lucentini, con cui diede vita dal 1952 al celebre sodalizio artistico di giallisti, giornalisti e traduttori, noto anche come Fruttero & Lucentini, F&L o «la ditta». Dal 1961 al 1986 i due romanzieri hanno diretto insieme la collana di fantascienza Urania per Mondadori. Tra i successi della coppia, La donna della domenica (1972), bestseller di ambientazione torinese portato poi sul grande schermo, nel 1975, da Luigi Comencini e più recentemente da Giulio Base.
Addio a Carlo Fruttero

GLI ULTIMI ANNI - Dopo la morte di Lucentini, nel 2002, Fruttero ha smesso di scrivere per quattro anni, finché nel 2006 ha pubblicato per Mondadori Donne informate sui fatti, finalista al Premio Campiello 2007. Nel 2010 esce Mutandine di chiffon (Mondadori), raccolta di scritti dichiaratamente d' occasione, prodotti a richiesta di giornali, riviste, libri bisognosi di prefazione. Sempre del 2010, pubblica il libro scritto con Massimo Gramellini, La Patria, bene o male (Mondadori). Nel 2007 gli viene assegnato il Premio Chiara alla carriera, nel 2010 è il primo vincitore del Campiello alla carriera.

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Messaggio Da anna Lun 16 Gen - 11:13

Addio Fruttero, mi ha insegnato
la leggerezza


Lo scrittore morto ieri nella sua casa di Castiglione della Pescaia a 85 anni



«Il Manzoni… bisogna leggerlo, assolutamente». Se n’è andato con il suo scrittore preferito sulle labbra, Carlo Fruttero. E con un sorriso, perché nelle ultime settimane sorrideva sempre. Sorrideva e viaggiava. Chiudeva gli occhi e andava in Inghilterra, in Cina, in Giappone, ma anche a Passerano e a Canelli. In posti dove non era mai stato e in altri che non visitava da tempo. Cosa ci andasse a fare, lo sapeva soltanto lui. Quando tornava indietro, non si perdeva nel racconto dei particolari. Diceva solo che aveva visto una certa strada, una certa faccia, un ricordo oppure un sogno ancora mai sognato. Aveva fretta di partire di nuovo. «La borraccia, riempitemi la borraccia. E la valigia. È pronta la mia valigia? Insomma, sbrigatevi. Quando mi portate via di qui? Devo fare un altro viaggio, devo andare a Torino!».

Da quando si era trasferito definitivamente in Maremma, nel comprensorio in cui tanti anni prima aveva comprato casa accanto all’amico Italo Calvino, Torino era di continuo nei suoi pensieri.

Come La Stampa . Ne aveva sempre qualche copia sul letto, ma se volevate davvero fargli un regalo, bisognava portargli l’edizione locale, quella con le pagine della cronaca cittadina. Ah, era uno spettacolo vederlo spuntare dalle lenzuola per avvolgersi in quei fogli di carta che parlavano di quartieri e personaggi nei quali aveva ambientato i suoi romanzi, ma soprattutto la sua vita. Non c’era storia minore che non attirasse la sua curiosità. Tanto a farla diventare maggiore ci pensava lui, chiosandola con un aneddoto o una riflessione che la elevavano a fatto universale.

Non aveva paura di morire, Carlo. Era solo preoccupato dalla difficoltà dell’impresa. «Non pensavo che andarsene sarebbe stato così lungo» ha continuato a ripetere fino a ieri. Proprio lui che amava gli articoli e le frasi brevi. Dal giorno in cui me lo ha insegnato, applico ai miei testi il famoso emendamento Fruttero: «Nel dubbio, togli. Togli sempre. Cominciando dagli aggettivi». Togliere ogni peso superfluo alle parole, alle relazioni umane e ai pensieri era il suo modo di essere leggero rimanendo profondo: la lezione di Calvino.

Non aveva paura di morire, ma ne sentiva la responsabilità verso i vivi. Le figlie, i nipoti, gli amici, i lettori. Persino verso di me. Mentre scrivevamo la storia d’Italia in 150 date, era lui a mettermi fretta. «Ho il timore di andarmene prima della fine e di lasciarti a metà strada. Che so, nel ’38 o nel ’72…». La sentiva anche verso il suo Paese: «Stanno arrivando tempi duri. Bisogna che io non muoia. Non posso prendere congedo proprio adesso. Sarebbe una fuga. Ma vedrai, ce ne tireremo fuori anche stavolta. Non dimenticarti chi siamo… L'Italia, no?».

La morte, avrebbe detto Marcello Marchesi, lo ha colto vivo. Ultimato da settimane il suo necrologio, stava dettando un altro libro alla figlia Maria Carla, talmente in sintonia con lo spirito del padre da saperne interpretare anche i sospiri. La biblioteca ideale di Carlo Fruttero: una sorta di giro del mondo in 80 titoli di cui ragionava da tempo con Fabio Fazio e che sarebbe stato, e mi auguro sarà, il suo testamento culturale.

Non era un provinciale, come non lo sono i torinesi che hanno i piedi per terra ma la testa alta e gli occhi capaci di guardare lontano. Eppure quest’uomo che ha letto e amato libri scritti in tutte le lingue del mondo, ultimamente aveva riscoperto i classici di quella che era la sua patria, bene o male. Si era preso una autentica cotta per Pinocchio - «un innamoramento senile», scherzava - mentre quella coi «Promessi Sposi» era una lunga e solida storia d’amore che di recente aveva conosciuto un ritorno di passione.

«Il Manzoni… bisogna leggerlo, assolutamente». Lo ha ripetuto fino all’ultimo, fino alla partenza del viaggio che non lo porterà più a Torino ma in un altrove che gli auguro sia lieve con lui e come lui. Avrei altri cento aggettivi per salutarlo, ma qui scatta inesorabile l’emendamento Fruttero. Così ne salvo uno solo, il suo preferito. Leggero.

Massimo Gramellini
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Messaggio Da anna Ven 20 Gen - 19:33

Addio Etta James, voce soul e blues
Lanciata nel '61 da «At Last». Una vita difficile tra alcol e droghe, interpretata in un film da Beyoncé


Se ne è andata a pochi giorni del suo 74esimo compleanno, il 25 gennaio. Etta James, una delle più grandi voci della musica nera, interprete di soul, rhythm 'n' blues e jazz è morta. Malata di leucemia ( la prima diagnosi era arrivata all'inizio del 2011), era ricoverata in un ospedale californiano. La sua vita era stata difficile fin dall'inizio: nata a Los Angeles, figlia di una madre di colore e di un padre bianco che abbandonato la donna, aveva sentito forte il peso della propria diversità.


VITA DIFFICILE - Alcol e droghe l'hanno più volte messa a rischio, sia per la salute sia con la legge. Spirito ribelle, carattere inquieto e difficile, la sua storia fa da filo conduttore (insieme a quelle di altri artisti) del film Cadillac Records del 2008 sulla casa discografica Chess che la lanciò assieme ad altri grandi della musica nera come Muddy Waters. nel film Etta James era interpretata da Beyoncè. E' stato, quello, l'inizio di una carriera ricca di successi, come testimoniano 4 Grammy Award, 17 Blues Music Awards. Ha saputo interpretare la musica nera mantenenendo un'impronta originale e arrivando a contaminare stili differenti. E si capisce perché sia stata acciolta in diverse Hall of Fame: la Rock & Roll Hall of Fame nel 1993, la Blues Hall of Fame nel 2001 e la Grammy Hall of Fame nel 1999.


LA CARRIERA - La sua carriera è cominciata quando era ancora adolescente. Nel 1950 la madre si era trasferita a San Francisco dove, a 14 anni, Johnny Otis grazie al quale forma un trio con altre due ragazze , «The Creolettes». Per singolare coincidenza, Johnny Otis, leggendario conduttore di una band che tra le prime ha reso il R&B popolare tra i bianchi («Willie and the Hand Jive»), è morto soltanto poche ora prima, anche lui in California, all'età di 90 anni. Ma la vera svolta della carriera di Etta James è arrivata a Chicago, appunto con Chess che ne intuisce l'enorme talento. Si tratta soltanto di scrivere la canzone che le calza a pennello e accade quasi subito. Nel 1961 la Chess Records pubblica il 45 giri di At Last, un blues lento, con l'aggiunta del tocco classico degli archi. Il successo è clamoroso e la voce profonda e potente di Etta conquista gli ascoltatori, non soltanto nel pubblico di colore. Un altro brano che diventerà famosissimo è Tell Mama (1968) , tradotto in diverse lingue (in Italia ebbe una versione dei «Ribelliç) e interpretato da numerosi artisti. Altri classic sono stati I'd Rather Go Blind e la sua interpretazione di Something's Got a Hold On Me.


L'ULTIMO ALBUM - Negli anni recenti Etta ha continuato a esibirsi in concerto e a incidere album L'ultima apparizione televisiva è stata nell'aprile 2009 allla vesione Usa del programma «Dancing with the Stars» cantando propio il suo primo immortale hit, At Last. A dimostrazione che si trattava di un'artista ancora in grado di reggere la concorrenza delle interpreti più giovani, nel maggio dello stesso anno è stata nominata «Soul/Blues Female Artist of the Year» dalla Blues Foundation per la nona volta in carriera . L'ultimo album, The Dreamer, è uscito meno lo scorso novembre e Etta, ormai molto malata, ha pubblicamente annunciato che sarebbe stato l'ultimo omaggio della sua vita d'artista al pubblico. Un addio in musica che ha avuto tra l'altro, critiche molto positive e ottimo successo di vendita. Ora che Etta non c'è più la sua voce, il suo carisma, mancheranno a tutti quanti hanno amato la sua musica.

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Messaggio Da anna Sab 21 Gen - 18:56

Addio a Vincenzo Consolo
una vita tra Sciascia e Einaudi
Lo scrittore è deceduto all'età di 79 anni. Dopo la laurea in filosofia il primo romanzo, e poi il trasferimento a Milano per lavorare in Rai. Nel 1976 scrive "Il sorriso dell'ignoto marinaio". Pisapia: "Profondo rammarico"


Lo scrittore Vincenzo Consolo è morto dopo una lunga malattia. Legato a Leonardo Sciascia, per lunghi anni consulente editoriale della casa editrice Einaudi per la narrativa italiana aveva raggiunto la grande notorietà nel 1976 con il romanzo rivelazione "Il sorriso dell'ignoto marinaio". I funerali si svolgeranno probabilmente lunedì prossimo a Sant'Agata di Militello (Messina) dove Vincenzo Consolo era nato nel 1933.

La vita. Scrittore e saggista, Consolo nasce nel 1933 a Sant'Agata di Militello 1 a Messina. Dopo la laurea in filosofia del diritto diventa insegnante. Il suo primo romanzo, La ferita dell'aprile, è del 1963. Il riferimento letterario principale è Leonardo Sciascia.
Arriva a Milano nel 1968, assunto alla Rai.
Nel 1976 pubblica il suo romanzo più importante e noto, Il sorriso dell'ignoto marinaio, ambientato nella sua terra e che si richiama apertamente al sorriso enigmatico del "ritratto di ignoto marinaio" di Antonello da Messina. L'anno successivo Consolo inizia una collaborazione coi Einaudi, dedicandosi alla narrativa italiana.

Il ricordo di Savatteri. "Per oltre dieci anni Vincenzo Consolo ha presieduto a Grotte, in provincia di Agrigento, il Premio Racalmare - Leonardo Sciascia, intitolato allo scrittore di Racalmuto che nel 1982 ne fu fondatore e primo presidente di giuria", Lo dice Gaetano Savatteri, presidente del premio. "Consolo è rimasto sempre legato - aggiunge - a questi paesi e a questa zona, seguendone con scrupolo e con affetto le iniziative culturali. La presidenza, il comitato di selezione, la giuria popolare e tutti i collaboratori del Premio Racalmare piangono la perdita di una voce autorevole e mai scontata che ha raccontato la Sicilia con passione e lucidità".

Pisapia: "Profondo rammarico". "Il mio cordoglio e la mia affettuosa vicinanza ai familiari di Vincenzo Consolo, la sua scomparsa mi rattrista profondamente anche perché ci legava un'antica amicizia". Con queste parole il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, ha ricordato lo scrittore scomparso oggi, sottolineando che "i suoi scritti e le sue opere, che hanno contribuito ad arricchire il patrimonio culturale italiano, sono un'importante eredità che Milano saprà valorizzare e diffondere anche tra le nuove generazioni"

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