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Re: Addio a.....
Penso che non solo sia triste che ci lascino queste grandi persone, ma che non vi siano eredi all'altezza
Re: Addio a.....
Addio a Ravasini, storica voce dei Corvi
E' morto Angelo Ravasini, storico cantante de "I Corvi", complesso beat che si impose soprattutto nel '66 con 'Un ragazzo di strada", cover di "I ain't no miracle worker" dei Brogues.
E' morto Angelo Ravasini, storico cantante de "I Corvi", complesso beat che si impose soprattutto nel '66 con 'Un ragazzo di strada", cover di "I ain't no miracle worker" dei Brogues.
anna- admin anna
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Re: Addio a.....
Addio a Wojciech Kilar
"È morto a 81 anni il pianista e compositore Wojciech Kilar, grande autore di colonne sonore per il cinema, collaboratore di registi come Andrzej Wajda, Roman Polanski. Nato nel 1932 a Leopoli (attuale Ucraina), da oltre 60 anni viveva a Katowice, che riteneva la sua seconda patria. Nella sua lunga carriera, Kilar ha firmato oltre 130 colonne sonore per il cinema, collaborando soprattutto con Polanski, per il quale ha scritto le musiche di La morte e la fanciulla, La nona porta e Il pianista. Sue, tra le altre, le musiche di Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola e di Persona non grata, e di Sole Nero di Krzysztof Zanussi. Nel 1996 ha firmato la colonna sonora del film di Jane Campion Ritratto di signora con Nicole Kidman."
ho avuto il grande piacere di conoscerlo a casa sua piena di gatti (ritratti, peluche etc.) i suoi gatti si sono già andati via prima però ogni giorno venivano sconosciuti a mangiare e lui era sempre pronto ad'accogliere.
abbiamo pralato per 3-4 ore, era semplice, umile, grande..
vedete quel gatto nero ha portato dal'Alasca
"È morto a 81 anni il pianista e compositore Wojciech Kilar, grande autore di colonne sonore per il cinema, collaboratore di registi come Andrzej Wajda, Roman Polanski. Nato nel 1932 a Leopoli (attuale Ucraina), da oltre 60 anni viveva a Katowice, che riteneva la sua seconda patria. Nella sua lunga carriera, Kilar ha firmato oltre 130 colonne sonore per il cinema, collaborando soprattutto con Polanski, per il quale ha scritto le musiche di La morte e la fanciulla, La nona porta e Il pianista. Sue, tra le altre, le musiche di Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola e di Persona non grata, e di Sole Nero di Krzysztof Zanussi. Nel 1996 ha firmato la colonna sonora del film di Jane Campion Ritratto di signora con Nicole Kidman."
ho avuto il grande piacere di conoscerlo a casa sua piena di gatti (ritratti, peluche etc.) i suoi gatti si sono già andati via prima però ogni giorno venivano sconosciuti a mangiare e lui era sempre pronto ad'accogliere.
abbiamo pralato per 3-4 ore, era semplice, umile, grande..
vedete quel gatto nero ha portato dal'Alasca
miki- inviata dall'estero
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Re: Addio a.....
grazie per il tuo racconto Miki
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Re: Addio a.....
E' morto Arnoldo Foà
Attore, regista, scultore, avrebbe compiuto 98 anni a giorni
(ANSA) - ROMA, 11 GEN - Arnoldo Foà e' morto oggi a Roma al San Filippo Neri dopo una breve crisi respiratoria. Grande protagonista della cultura del '900, attore di teatro, di cinema, tv, regista, ma anche scultore, pittore e poeta, era nato a Ferrara il 24 gennaio 1916. Grande interprete teatrale, Foà ha lavorato anche al cinema, tra gli altri con Pietro Germi, Alessandro Blasetti, Orson Welles, Joseph Losey ed Ettore Scola.
Attore, regista, scultore, avrebbe compiuto 98 anni a giorni
(ANSA) - ROMA, 11 GEN - Arnoldo Foà e' morto oggi a Roma al San Filippo Neri dopo una breve crisi respiratoria. Grande protagonista della cultura del '900, attore di teatro, di cinema, tv, regista, ma anche scultore, pittore e poeta, era nato a Ferrara il 24 gennaio 1916. Grande interprete teatrale, Foà ha lavorato anche al cinema, tra gli altri con Pietro Germi, Alessandro Blasetti, Orson Welles, Joseph Losey ed Ettore Scola.
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Re: Addio a.....
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che bel ricordo che ti rimane
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Re: Addio a.....
Carlo Mazzacurati morto a 57 anni. Il suo ultimo film La sedia della Felicità
Il presidente della Fondazione Cineteca di Bologna e artista simbolo di Padova si è spento all'ospedale di Monselice: da alcuni mesi era malato. L'esordio con Moretti, la "scoperta" di Albanese. Nel 1994 fu premiato con il Leone d'argento
Carlo Mazzacurati non c’è più. Una lunga malattia si è portato via uno dei più sereni e delicati registi italiani. Mazzacurati, padovano, aveva 57 anni. Grande e grosso com’era, e da qualche anno a questa parte con una lunga barba, dava l’idea di essere un burbero veneto dalle poche parole. Invece, dietro al ruolo istituzionale di regista, colui che decide e coordina un set, c’era un uomo attento, riflessivo, generoso. La sua poesia in immagini si impone tra gli anni ’80 e ’90. E più che raccontare il Nord-Est – la maggior parte dei suoi film è stata ambientata tra le province del triveneto – Mazzacurati sapeva trasformare in forma cinematografica la levità e la dolcezza dei suoi dropout e perdenti, miserabili di paese nati oltre il tempo massimo della storica commedia all’italiana di Risi e Monicelli.
L’esordio dietro la macchina di presa arriva con Notte italiana nel 1987 (grazie al connubio con Nanni Moretti, produttore con la Sacher), e poi prosegue con una meditata lentezza per altre 19 pellicole, fino all’ultima presentata lo scorso novembre al Torino Film Festival, La sedia della felicità.
In mezzo ci sono tante piccole, preziose gemme artistiche. Intanto s’inventa Antonio Albanese attore drammatico. E lo fa nel 1996 con Vesna va veloce, usando il comico brianzolo come una sorta di contraltare razionale e duro rispetto alla protagonista, un’immigrata cecoslovacca che arriva in Italia a cercare fortuna. Mazzacurati era così: non gli servivano maschere, ma caratteri; non gli servivano bizzarrie ma slittamenti degli interpreti nei personaggi. L’epoca è quella minimale ed intimista degli anni ottanta dei Soldini e Salvatores. Ma mentre gli altri colleghi lavorano chi sul realismo, talvolta fantastico, chi sul kolossal all’italiana, lui rimane ancorato alle storie di provincia, alla descrizione di quelle piccole increspature dell’anima che ne rilevano poi il fondo scuro o un’improvvisa inaspettata bellezza.
Tre i titoli straordinari che vanno assolutamente recuperati per capire la sua poetica. Il primo è Il Toro (1994) quando vince al festival di Venezia il Leone d’Argento per la miglior regia; poi La lingua del santo (2000) e infine L’amore ritrovato (2004). Quasi uno per decennio, perché di più davvero è troppo. Troppa l’attenzione per i propri attori e le proprie storie. Troppo il tempo per confezionarlo bene e di correre, comunque, non ce n’era bisogno. Nei tre film chiave tre coppie d’attori: nel primo Diego/Abatantuono/Roberto Citran, nel secondo ancora Albanese con Fabrizio Bentivoglio, infine Stefano Accorsi/Maya Sansa.
Ne L’amore ritrovato, tratto da uno splendido romanzo di Carlo Cassola ambientato tra l’altro in Toscama negli anni trenta, Mazzacurati raggiunge l’apice dell’illustrazione di una coppia di amanti in tutto il loro dolente e necessario realismo: mai spettacolarizzazione dei sentimenti o dei gesti, ma scavo totalizzante nell’anima dei suoi amati personaggi.
Caratteri che non espone mai al ridicolo anche quando sceglie un remake difficile di un film di Comencini, A cavallo della tigre (2002); o quando si sfoga con il bel mondo del cinema e forza la mano della commedia con La Passione (2010). Poi ancora, per capire la dolce poesia di Mazzacurati guardatevi un paio dei suoi documentari: senz’altro il trittico su Meneghello, Zanzotto e Rigoni Stern, ma soprattutto Sei Venezia (2010): dove la gente comune nei suoi limiti e bizzarrie dell’anima diventano protagonisti ‘semplici’ della città più ‘cartolinizzata’ al mondo
Forte il sodalizio nella scrittura con Umberto Contarello (oggi cosceneggiatore con Sorrentino de “La Grande Bellezza”) e ancor più forte il legame con Bologna: studi al Dams a cavallo degli anni settanta/ottanta e da tre anni presidente della neonata Fondazione Cineteca. Senza dimenticare il divertimento nell’apparire nei film di Nanni Moretti: ricordiamolo quando in Caro Diario sul letto, piange e subisce la lettura di una recensione del Manifesto di “Harry pioggia di sangue”.
fonte
Il presidente della Fondazione Cineteca di Bologna e artista simbolo di Padova si è spento all'ospedale di Monselice: da alcuni mesi era malato. L'esordio con Moretti, la "scoperta" di Albanese. Nel 1994 fu premiato con il Leone d'argento
Carlo Mazzacurati non c’è più. Una lunga malattia si è portato via uno dei più sereni e delicati registi italiani. Mazzacurati, padovano, aveva 57 anni. Grande e grosso com’era, e da qualche anno a questa parte con una lunga barba, dava l’idea di essere un burbero veneto dalle poche parole. Invece, dietro al ruolo istituzionale di regista, colui che decide e coordina un set, c’era un uomo attento, riflessivo, generoso. La sua poesia in immagini si impone tra gli anni ’80 e ’90. E più che raccontare il Nord-Est – la maggior parte dei suoi film è stata ambientata tra le province del triveneto – Mazzacurati sapeva trasformare in forma cinematografica la levità e la dolcezza dei suoi dropout e perdenti, miserabili di paese nati oltre il tempo massimo della storica commedia all’italiana di Risi e Monicelli.
L’esordio dietro la macchina di presa arriva con Notte italiana nel 1987 (grazie al connubio con Nanni Moretti, produttore con la Sacher), e poi prosegue con una meditata lentezza per altre 19 pellicole, fino all’ultima presentata lo scorso novembre al Torino Film Festival, La sedia della felicità.
In mezzo ci sono tante piccole, preziose gemme artistiche. Intanto s’inventa Antonio Albanese attore drammatico. E lo fa nel 1996 con Vesna va veloce, usando il comico brianzolo come una sorta di contraltare razionale e duro rispetto alla protagonista, un’immigrata cecoslovacca che arriva in Italia a cercare fortuna. Mazzacurati era così: non gli servivano maschere, ma caratteri; non gli servivano bizzarrie ma slittamenti degli interpreti nei personaggi. L’epoca è quella minimale ed intimista degli anni ottanta dei Soldini e Salvatores. Ma mentre gli altri colleghi lavorano chi sul realismo, talvolta fantastico, chi sul kolossal all’italiana, lui rimane ancorato alle storie di provincia, alla descrizione di quelle piccole increspature dell’anima che ne rilevano poi il fondo scuro o un’improvvisa inaspettata bellezza.
Tre i titoli straordinari che vanno assolutamente recuperati per capire la sua poetica. Il primo è Il Toro (1994) quando vince al festival di Venezia il Leone d’Argento per la miglior regia; poi La lingua del santo (2000) e infine L’amore ritrovato (2004). Quasi uno per decennio, perché di più davvero è troppo. Troppa l’attenzione per i propri attori e le proprie storie. Troppo il tempo per confezionarlo bene e di correre, comunque, non ce n’era bisogno. Nei tre film chiave tre coppie d’attori: nel primo Diego/Abatantuono/Roberto Citran, nel secondo ancora Albanese con Fabrizio Bentivoglio, infine Stefano Accorsi/Maya Sansa.
Ne L’amore ritrovato, tratto da uno splendido romanzo di Carlo Cassola ambientato tra l’altro in Toscama negli anni trenta, Mazzacurati raggiunge l’apice dell’illustrazione di una coppia di amanti in tutto il loro dolente e necessario realismo: mai spettacolarizzazione dei sentimenti o dei gesti, ma scavo totalizzante nell’anima dei suoi amati personaggi.
Caratteri che non espone mai al ridicolo anche quando sceglie un remake difficile di un film di Comencini, A cavallo della tigre (2002); o quando si sfoga con il bel mondo del cinema e forza la mano della commedia con La Passione (2010). Poi ancora, per capire la dolce poesia di Mazzacurati guardatevi un paio dei suoi documentari: senz’altro il trittico su Meneghello, Zanzotto e Rigoni Stern, ma soprattutto Sei Venezia (2010): dove la gente comune nei suoi limiti e bizzarrie dell’anima diventano protagonisti ‘semplici’ della città più ‘cartolinizzata’ al mondo
Forte il sodalizio nella scrittura con Umberto Contarello (oggi cosceneggiatore con Sorrentino de “La Grande Bellezza”) e ancor più forte il legame con Bologna: studi al Dams a cavallo degli anni settanta/ottanta e da tre anni presidente della neonata Fondazione Cineteca. Senza dimenticare il divertimento nell’apparire nei film di Nanni Moretti: ricordiamolo quando in Caro Diario sul letto, piange e subisce la lettura di una recensione del Manifesto di “Harry pioggia di sangue”.
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anna- admin anna
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Re: Addio a.....
È morto Riz Ortolani, il maestro delle colonne sonore
Aveva 87 anni, era una grande firma della musica da film, da "Il sorpasso" a tutta la produzione di Pupi Avati, ma anche gli sceneggiati tv più popolari del passato. Il periodo hollywoodiano, la collaborazione con le grandi case di produzione Usa, il matrimonio con Katyna Ranieri. E una lista lunghissima di titoli animati dalle sue composizioni
È morto a Roma all'età di 87 anni Riziero Ortolani, conosciuto come Riz, grande firma della musica da film. Nella sua lunga carriera ha lavorato con tutti i maggiori registi italiani da Vittorio De Sica a Dino Risi, Damiano Damiani, Pupi Avati. Tra le oltre 300 partiture, anche temi diventati un cult, come Il sorpasso. Ortolani era stato ricoverato per un intervento clinico, ma nelle ultime ore le sue condizioni si erano aggravate per il peggioramento di una bronchite. I funerali si terranno sabato 25 gennaio alle 15 nella Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo a Roma.
fonte - biografia
Aveva 87 anni, era una grande firma della musica da film, da "Il sorpasso" a tutta la produzione di Pupi Avati, ma anche gli sceneggiati tv più popolari del passato. Il periodo hollywoodiano, la collaborazione con le grandi case di produzione Usa, il matrimonio con Katyna Ranieri. E una lista lunghissima di titoli animati dalle sue composizioni
È morto a Roma all'età di 87 anni Riziero Ortolani, conosciuto come Riz, grande firma della musica da film. Nella sua lunga carriera ha lavorato con tutti i maggiori registi italiani da Vittorio De Sica a Dino Risi, Damiano Damiani, Pupi Avati. Tra le oltre 300 partiture, anche temi diventati un cult, come Il sorpasso. Ortolani era stato ricoverato per un intervento clinico, ma nelle ultime ore le sue condizioni si erano aggravate per il peggioramento di una bronchite. I funerali si terranno sabato 25 gennaio alle 15 nella Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo a Roma.
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Re: Addio a.....
Trovato morto Philip Seymour Hoffman
Era nel suo appartamento di Manhattan. Oscar 2006 per Truman Capote
L'attore americano Philip Seymour Hoffman è stato trovato morto nel suo appartamento di Manhattan. Lo riferisce il sito del quotidiano newyorkese Wall Street Journal.
ansa
Era nel suo appartamento di Manhattan. Oscar 2006 per Truman Capote
L'attore americano Philip Seymour Hoffman è stato trovato morto nel suo appartamento di Manhattan. Lo riferisce il sito del quotidiano newyorkese Wall Street Journal.
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Re: Addio a.....
pare per overdose
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Re: Addio a.....
si, cominciano a venir fuori i particolari
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Re: Addio a.....
Addio a Shirley Temple,
i “riccioli d’oro” del cinema
L’attrice si è spenta a 85 anni dopo una carriera iniziata da piccolissima
Negli anni della Grande depressione era diventata il simbolo dell’ottimismo americano
È stata la prima diva bambina del mondo del cinema, la prima per cui si scatenavano episodi di follia collettiva: tutti stregati da quei «riccioli d’oro», così era chiamata Shirley Temple, scomparsa ieri a 85 anni. Tutti incantati da quel sorriso che, secondo il presidente Roosevelt, dava alla gente messa in ginocchio dalla Grande Depressione «la forza di andare avanti».
Nata nel 1928 a Santa Monica, Los Angeles, figlia di un banchiere e una ex ballerina, non sa ancora quasi camminare che la madre la porta a lezione di danza. La sua carriera di fronte alla telecamera inizia a cinque anni quando Charles Lamont, direttore della Educational Pictures, la sceglie durante una visita nella sua scuola per due serie della Educational Pictures.
Il suo viso d’angelo e il suo sorriso le spalancano presto le porte del grande cinema e film come «La mascotte all’aeroporto» (1934) le vale una sorta di Oscar giovanile, riconoscimento«inventato» appositamente per lei, Seguono «Zoccoletti olandesi» (1937) e «Riccoli d’oro» (1935), che le ha poi dato il soprannome conosciuto in tutto il mondo. I l suo sorriso diventa il simbolo della voglia di riscatto della gente afflitta dalla Grande Depressione, al punto che il presidente Franklin D. Roosevelt in persona proclama: «Finché il nostro Paese avrà Shirley Temple, noi staremo bene» («as long as our country has Shirley Temple, we will be all right»). Rooselvelt credeva infatti nell’importanza di creare un’«atmosfera» favorevole alla ripresa, e in questo il cinema aveva un ruolo fondamentale: «È meraviglioso - diceva - che per pochi centesimi ogni americano possa entrare in un cinema e vedere il sorriso di una bimba che gli ridarà la forza di andare avanti».
Ma i tempi cambiano e l’adolescenza coincide con il declino di Riccioli d’oro, che negli Anni 40 viene chiamata solo per una manciata di film. Dopo il secondo matrimonio nel 1950 con l’uomo d’affari californiano Charles Black, da cui ha avuto due figli, Shirley si era candidata al Congresso con i repubblicani e poi era stata ambasciatore degli Usa all’Onu, in Ghana e in Cecoslovacchia. In America fu anche il primo personaggio famoso a raccontare pubblicamente di aver avuto un tumore al seno. Oggi la famiglia parla di una vita «di notevoli successi come attrice, come diplomatico, e ... come nostra amata madre, nonna e bisnonna». Segno che quel sorriso che aveva stregato l’america anche lontano dai riflettori non si era mai spento.
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i “riccioli d’oro” del cinema
L’attrice si è spenta a 85 anni dopo una carriera iniziata da piccolissima
Negli anni della Grande depressione era diventata il simbolo dell’ottimismo americano
È stata la prima diva bambina del mondo del cinema, la prima per cui si scatenavano episodi di follia collettiva: tutti stregati da quei «riccioli d’oro», così era chiamata Shirley Temple, scomparsa ieri a 85 anni. Tutti incantati da quel sorriso che, secondo il presidente Roosevelt, dava alla gente messa in ginocchio dalla Grande Depressione «la forza di andare avanti».
Nata nel 1928 a Santa Monica, Los Angeles, figlia di un banchiere e una ex ballerina, non sa ancora quasi camminare che la madre la porta a lezione di danza. La sua carriera di fronte alla telecamera inizia a cinque anni quando Charles Lamont, direttore della Educational Pictures, la sceglie durante una visita nella sua scuola per due serie della Educational Pictures.
Il suo viso d’angelo e il suo sorriso le spalancano presto le porte del grande cinema e film come «La mascotte all’aeroporto» (1934) le vale una sorta di Oscar giovanile, riconoscimento«inventato» appositamente per lei, Seguono «Zoccoletti olandesi» (1937) e «Riccoli d’oro» (1935), che le ha poi dato il soprannome conosciuto in tutto il mondo. I l suo sorriso diventa il simbolo della voglia di riscatto della gente afflitta dalla Grande Depressione, al punto che il presidente Franklin D. Roosevelt in persona proclama: «Finché il nostro Paese avrà Shirley Temple, noi staremo bene» («as long as our country has Shirley Temple, we will be all right»). Rooselvelt credeva infatti nell’importanza di creare un’«atmosfera» favorevole alla ripresa, e in questo il cinema aveva un ruolo fondamentale: «È meraviglioso - diceva - che per pochi centesimi ogni americano possa entrare in un cinema e vedere il sorriso di una bimba che gli ridarà la forza di andare avanti».
Ma i tempi cambiano e l’adolescenza coincide con il declino di Riccioli d’oro, che negli Anni 40 viene chiamata solo per una manciata di film. Dopo il secondo matrimonio nel 1950 con l’uomo d’affari californiano Charles Black, da cui ha avuto due figli, Shirley si era candidata al Congresso con i repubblicani e poi era stata ambasciatore degli Usa all’Onu, in Ghana e in Cecoslovacchia. In America fu anche il primo personaggio famoso a raccontare pubblicamente di aver avuto un tumore al seno. Oggi la famiglia parla di una vita «di notevoli successi come attrice, come diplomatico, e ... come nostra amata madre, nonna e bisnonna». Segno che quel sorriso che aveva stregato l’america anche lontano dai riflettori non si era mai spento.
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Re: Addio a.....
Addio a Freak Antoni
la voce degli Skiantos
E' morto stamattina a Bologna Roberto “Freak” Antoni, lo storico leader degli Skiantos. L’artista bolognese avrebbe compiuto sessant’anni il prossimo 16 aprile, dopo una lunga malattia. Nel 2012 Freak Antoni lasciò gli Skiantos dopo 35 anni assieme, per dedicarsi alla carriera da solista.
“Se non altro la malattia mi ha fatto smettere con la droga”, scherzava un anno fa Freak Antoni. L’eccesso, l’eroina, la provocazione, sono stati la cifra stilistica di una vita sempre vissuta di corsa, ma anche sempre con grande autoconsapevolezza e ironia. Del resto, è stato il primo vero punk italiano. Quando nel 1977 nacquero gli Skiantos, furono qualcosa a cui il pubblico nostrano non era preparato, troppo semplicistico derubricarli a band demenziale. Nel ’79, in un concerto al PalaDozza rimasto nella storia, salirono sul palco senza suonare, e si misero a cucinare spaghetti. Mentre gli spettatori, infuriati, gli lanciavano di tutto, Freak Antoni rispondeva con l’ormai celebre frase: “Questa è avanguardia, pubblico di merda”.
Gli Skiantos erano quelli che lanciavano ortaggi sulla platea, che confessavano il proprio amore per le “sbarbine” prima che tutto ciò venisse sdoganato dalle alte cariche del governo, ma anche quelli che già 20 anni fa dicevano fosse inutile pretendere qualcosa “da un paese che ha la forma di una scarpa” o che gridavano “Brucia le banche, bruciane tante”.
E Freak Antoni ne era il bardo e cantore, un simbolo del rock italiano, ma che ha sempre conservato la convinzione di meritare di più di quel che poi il mercato discografico ha riservato a questi “35 anni di grandi insuccessi”, come li definiva lui. “Di questi anni ricordo grande sbattimento, la voglia di pretendere più considerazione da pubblico e critica, e una grande fatica per nuotare controcorrente”, confidava dopo il suo ultimo concerto con la band, a maggio 2012 a Bologna. Da quel giorno Freak aveva iniziato una nuova sfida musicale, un progetto solista assieme alla pianista Alessandra Mostacci.
In curriculum anche nove libri, come il suo manifesto “Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”; e la partecipazione a film, come “Paz!” e “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”. Sulla sua vita hanno scritto anche un fumetto, “Freak”. Di lui, nella storia di Bologna e del rock italiano, resterà un ricordo indelebile, di una delle ultime rockstar di casa nostra capaci nello stesso tempo di fare ridere, riflettere e cantare.
[url=http://bologna.repubblica.it/cronaca/2014/02/12/news/addio_a_freak_antoni_la_voce_degli_skiantos-78355521/]fonte[/url]
anna- admin anna
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Re: Addio a.....
era un bravo attore peccatoubik ha scritto: pare per overdose
picpiera- inviata specialissima
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