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Messaggio Da anna Mar 10 Mag - 19:39

Prostitute dal centro in periferia e hinterland
Ecco il “colpo di scopa” della Milano sicura
Un dispositivo riservato della Polizia Locale rivela che per sei mesi le lucciole sono state sistematicamente dirottate dal centro ai quartieri esterni e nei comuni vicini. Rabbia e incredulità tra gli alleati leghisti


“Via le prostitute dalle strade”. Del centro. Gli slogan cari al centrodestra milanese devono fare i conti con un documento che testimonia come il vero obiettivo della giunta Moratti sia di togliere le lucciole solo dalle strade del cuore della città. La Milano di Letizia Moratti e del Pdl, negli ultimi sei mesi, ha sistematicamente “scaricato” una buona parte delle prostitute sui quartieri periferici e su ignari comuni dell’hinterland.

Tutto inizia a novembre del 2010, quando le tredici “ordinanze anti-degrado” emanate dal sindaco di Milano nel 2008 si traducono in altrettanti “dispositivi” del comando dei vigili. Si tratta di schede operative, documenti ad uso interno della polizia locale, che ilfattoquotidiano.it ha rintracciato e che riportano i tanti servizi assegnati in regime di straordinario per dare la caccia a immigrati, barboni, rom e ambulanti. Uno però è particolare. Il dispositivo “C51″ (scarica il file) mette in pratica l’ordinanza contro la prostituzione notturna (la numero 29) assegnando tre pattuglie, un commissario aggiunto e sei agenti, operativi tutti i giorni della settimana dalle 21 alle 4 del mattino.

Gli agenti, si legge nell’atto, dovranno comminare la multa stabilita dal sindaco di 450 euro alla meretrice e al cliente, compilare il verbale corrispondente e un foglio ad uso statistico interno che servirà ad aggiornare la “mappa delle criticità”. Perché in questo caso non si parla più di diritti, di sfruttamento della prostituzione o di criminalità ma di pura di geografia. Poche righe più sotto, infatti, il dispositivo esprime il proprio intento con disarmante chiarezza: “L’obbiettivo del servizio è il massimo contrasto possibile alla prostituzione in strada, con particolare riguardo per le zone centrali della città. La filosofia che governa l’intervento – recita l’ordine di servizio – è quella di spostare gradatamente la prostituzione su strada verso la periferia e, se possibile, oltre i confini comunali”. Occhio non vede, cuore non duole, almeno nei salotti buoni e nei punti più in vista della città.

In altre parole il problema delle prostitute non viene rimosso né messo sotto il tappeto. Viene direttamente sollevato e spostato altrove, dove gli occhi dei cittadini-elettori della “Milano bella da vivere” non guardano. A questo punto si capisce meglio anche la reazione irritata del vicesindaco, Riccardo De Corato, per la bocciatura delle ordinanze sindacali sprovviste di una data di scadenza decisa dalla Consulta lo scorso 8 aprile. “Le lucciole sono state dimezzate in un anno”, rivendicava lui commentando la sentenza e snocciolando i numeri di un successo che era ancora tutto da decifrare. Nei sei mesi di operatività dell’ordinanza, ricordava De Corato, sono state comminate ben 8.406 multe. Ma a quanto pare le sanzioni non hanno fatto il miracolo. Trans e prostitute non si sono volatilizzati, non sono tornati al loro paese e non si sono neppure ravveduti. Con l’ordinanza e le “azioni mirate di disturbo” della polizia locale sono stati semplicemente costretti a sloggiare altrove. Non tanto lontano. In periferia. Oppure nel giardino dell’alleato leghista e di tanti comuni amministrati dal centrodestra.

Dall’8 aprile le ordinanze “senza scadenza” a Milano come nel resto d’Italia sono ufficialmente sospese. Da fonti qualificate all’interno della Polizia Municipale si apprende però che il servizio di dissuasione della prostituzione prosegue sotto traccia, con servizi distaccati e in regime di straordinario. Resta poi in vigore la vecchia ordinanza firmata dall’allora assessore De Corato nel lontano 1998, che multa i clienti per divieto di sosta e occupazione della carreggiata. La guerra di strada, insomma, continua. E sotto elezioni, non c’è più alleanza che tenga.

LA REAZIONE DELLA LEGA - “Ecco perché le nostre strade si sono riempite come mai prima. Questo scaricabarile però dimostra che fa bene la Lega a correre da sola in tanti comuni come il mio, senza fare alleanze con il Pdl”. A parlare è Fabrizio Cecchetti, candidato sindaco della Lega Nord a Rho (comune dell’hinterland) e consigliere regionale. Giura che ne parlerà direttamente con Umberto Bossi proprio domani, quando il Senatùr arriverà in città per sostenere la sua candidatura a sindaco. Perché, a questo punto, il candidato leghista non ci capisce più niente. E neppure i suoi elettori. Restano tutti di sasso quando scoprono che la Milano di Letizia Moratti e del Pdl, negli ultimi sei mesi, ha sistematicamente “scaricato” una buona parte delle prostitute su ignari comuni dell’hinterland. L’effetto della notizia è dirompente. “Via le prostitute dalle strade. Con il sindaco della Lega si può fare” è lo slogan con cui Cecchetti sperava di far breccia tra la gente di Rho. Una città in cui le lucciole erano tante da indurre lo stesso Cecchetti a promuovere un’associazione dedita al taglio dei rami ai bordi delle provinciali per impedire alle nigeriane di appartarsi con i clienti. Una ronda armata di decespugliatore, come testimoniano le colorite foto di “Rho Sicura”. Ma oggi è un giorno triste per il candidato leghista. Mentre il suo programma elettorale promette ancora la linea dura contro le prostitute scopre infatti di essere stato messo con le spalle al muro dal suo stesso alleato. Un brutto segnale, in vista delle elezioni del 15-16 maggio.

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Messaggio Da ubik Mar 10 Mag - 23:59

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Messaggio Da anna Mer 11 Mag - 21:19

Scuola, il Pdl deposita un testo di legge contro i “prof politicizzati”


Detto fatto. Poche settimane fa il premier se l’era presa con gli insegnanti di sinistra che ”inculcano negli studenti valori diversi da quelli della famiglia”. Ora arriva la proposta di legge contro i prof che “fanno propaganda politica o ideologica nelle scuole”. Gli insegnanti potranno essere puniti con la sospensione “per almeno 1-3 mesi”. E’ quanto prevede la proposta di legge appena presentata alla Camera dal deputato del Pdl Fabio Garagnani, componente della Commissione Cultura di Montecitorio.

“L’importante – dice il parlamentare – era inserire nel Testo unico sulla scuola il divieto di fare ‘propaganda politica o ideologica’ per i professori”. “Per quanto riguarda le sanzioni – aggiunge – queste dovranno essere contenute poi in dettaglio in un provvedimento attuativo della legge”.

Segue giustificazione in linea con il verbo del capo: “La propaganda politica non può trovare tutela nel principio della libertà dell’insegnamento enunciato dall’Articolo 33 della Costituzione. Un conto infatti è tutelare la libertà di espressione del docente, un’altra è quella di consentire che nella scuola si continui a fare impunemente propaganda politica”.

E sono molti, secondo l’esponente del Pdl, i casi in cui i professori oltrepassano questo limite. “Soprattutto in Emilia Romagna – aggiunge – tra i professori della Cgil”. Così Garagnani propone di inserire nel decreto legislativo del 16 aprile ’94 numero 297, un nuovo articolo (il 490-bis) nel quale si specifica per la prima volta in modo diretto che “il docente dovrà astenersi in ogni caso da qualunque atto di propaganda politica o ideologica nell’esercizio delle attività di insegnamento anche di carattere integrativo, facoltativo od opzionale”.

A vigilare che questo non avvenga, spiega ancora il deputato del Pdl nella sua proposta, dovrà essere “il responsabile della scuola”, cioè il dirigente scolastico. Garagnani, modificando il Testo unico sulla scuola, propone anche una norma che specifichi come l’insegnamento della religione non possa essere considerato semplicemente “lo studio della storia delle religioni”.

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Messaggio Da anna Gio 12 Mag - 10:04

Se questa è una moderata

di NATALIA ASPESI

UNA signora così elegante, non solo nelle borse ma anche nei modi, chi l'avrebbe mai detto? Magari noiosa ma sempre impeccabile, e infatti era del tutto impensabile che la sua nota, signorile compostezza si rifugiasse nella sola sua marmorea cotonatura, e che lei si allineasse ai metodi più che fangosi della sua parte politica. È accaduto ieri nel faccia a faccia su Sky 24 tra lei, Letizia Moratti, sindaco uscente di Milano, ricandidata dal Pdl, e Giuliano Pisapia, che ha l'immane compito di riportare il Comune di Milano al centrosinistra.

La signora è precipitata in una di quelle figuracce che da buona dama milanese educata nel famoso Collegio delle Fanciulle, era sempre riuscita ad evitare. E lo ha fatto con metodo, studiato dai suoi rustici ispiratori, adusi alle massime porcherie, aspettando la chiusura per lanciare la sua immondizia sull'avversario, sapendo che lui non aveva diritto di replica.

Lo ha accusato all'improvviso di essere stato un ladro, più o meno quarant'anni fa, o meglio "di essere stato giudicato responsabile del furto di un veicolo usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane. Poi è stato amnistiato". La povera signora sudava e balbettava sventolando un documento, vistosamente affranta perché, pur essendo adusa alle bugie e alle fantasie, non innocue ma neppure fatali, forse non immaginava che sarebbe stata costretta ad arrivare a tanto: a unirsi alla folla della bassa politica berlusconiana, ad usare quei dossier finti e menzogneri di cui devono essere pieni i cassetti del premier e del suo personale di servizio, a diventare lei, una Moratti nata Brichetto Arnaboldi, ricca di famiglia e di petrolio, benefattrice di San Patrignano, ex ministro sia pure mediocre dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, ed ex presidente non luminoso della Rai, un Sallusti, un Feltri, un Belpietro, addirittura uno Scilipoti, una Santanché, uno dei tanti innominabili che hanno tolto ogni dignità alla politica.

Sia il moderatore, Emilio Carelli, che lo stesso Pisapia, che sino a quel momento, elegante come non capita spesso di vederlo, aveva picchiato dura sulla inquieta sindaca, sono rimasti di sale. È stato uno dei soliti momenti cui ormai siamo abituati, in cui i brandelli che restano di una democrazia si sfilacciano del tutto. Carelli non ha avuto la prontezza, dopo la carognata bugiarda, di permettere la replica all'avversario poi, chiusa la trasmissione con quel funesto, vergognoso finale, ha ricordato che da quell'inesistente reato Pisapia era stato assolto con formula piena "per non aver commesso il fatto". Naturalmente gli informatori lo sapevano e non ne hanno tenuto conto, come fanno sempre: si poteva pensare che la Moratti non lo sapesse, ma in questo caso prima di distruggere per sempre la sua già pericolante immagine, avrebbe dovuto informarsi. O forse lo sapeva, ma non è stata in grado di opporre la sua dignità alla violenza distruttiva di chi la comanda, o peggio ancora, terrorizzata dal pensiero che le elezioni si possono anche perdere, e in questo caso non succede niente di grave, soprattutto se una è milionaria e ultrasessantenne, ha scelto di assoggettarsi a un gesto vergognoso, che le toglie per sempre il titolo di "moderata" di cui anche ieri la signora si vantava. E ha continuato a vantarsene, in conferenza stampa, sostenendo di aver usato quella notizia (e pazienza se falsa) proprio per marcare la differenza "tra la mia storia e la sua", una storia, quella morattiana, vistosamente moderata, mentre quella di Pisapia, almeno allora, sul piano politico non lo era. Nella sua giacchina bianca, moderatissima, la sindaca ormai straparlava, non riuscendo nessuno ad afferrare il suo corrucciato ragionamento. In ogni caso, ormai si è capito che "moderato", è definitivamente diventata una brutta parola, visto che si definiscono tali persone che la signora Moratti in altri tempi non avrebbe mai invitato nel suo appartamento milanese su tre piani, e neppure nella casa Batman del figlio, e che ora sono i suoi compagni di viaggio, specialisti nel far uso di estremismo verbale, killeraggio mediatico, attacco alle istituzioni, abitanti di un nuovo mondo dove ogni vergogna è possibile.

L'incontro tra i due contendenti seduti in poltrone fin troppo lontane, come a prevenire un'eventuale scazzottata, poteva essere molto importante per i milanesi sotterrati dai manifesti della ridente fata Letizia che promette da ogni angolo nero di inquinamento della città ben 61mila posti di lavoro nuovi ogni anno e abbraccia coppie di vecchietti adoranti cui promette case gratis, e che di Pisapia conoscono soprattutto l'aspetto e i discorsi ultramoderati, mentre scarpina infaticabile in ogni angolo cittadino per raccontare la sua Milano. Il sindaco magnificava corrucciata il già fatto, preferendo comunque i verbi al futuro, faremo, costruiremo, daremo..., del tutto impermeabile al buon senso pisapiano che le rinfacciava lo stato malinconico della città, le infiltrazioni mafiose, l'Expo ancora per aria. Era la prima volta che i milanesi sentivano parlare di Milano, il che pareva addirittura stravagante, pur trattandosi, per il 15 e il 16 maggio, di elezioni amministrative, cioè dell'elezione del sindaco. Della Moratti. Di Pisapia, non di Berlusconi. Ma poiché gli italiani non possono mai occuparsi di se stessi, dei loro problemi, della loro vita, e nel caso dei milanesi, della disoccupazione, della mancanza di case, delle strade dissestate, della sicurezza in periferia, della solitudine che attanaglia tutti, ma solo del premier, soprattutto questa volta non sono chiamati a decidere se questo sindaco ha amministrato bene, o come capita ovunque esista la democrazia, si può provare a cambiare. Noi disgraziati cittadini siamo chiamati a votare soprattutto pro o contro la magistratura, pro o contro il premier. Ci derubano della nostra città, della nostra quotidianità, di noi stessi. Non contiamo nulla. Forse la pessima figura che ha fatto la Moratti potrà aiutare i milanesi a capire, e come dice Pisapia, a voltare pagina. A non accettare più, oltre alla pessima amministrazione, anche certi metodi politici infamanti e indegni. A sognare di nuovo che Milano torni ad essere la capitale morale del Paese.

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Messaggio Da anna Dom 15 Mag - 16:10

L’Italia promette soldi al Fondo per la lotta contro l’Aids. Poi non li dà ed è estromessa

Il nostro è l’unico paese a non aver versato la quota all'organizzazione che investe in progetti contro Hiv, malaria e tubercolosi. Non ha dato né i 160 milioni di dollari annunciati da Berlusconi per il 2009, né i 183 milioni per il 2010. E l'insolvenza è costata il posto nel consiglio di amministrazione



L’Italia lascia il suo posto nel consiglio di amministrazione del Fondo globale per la lotta contro Aids, malaria e tubercolosi. E’ stata esclusa perché indietro con i pagamenti di ben due anni. E su quella sedia ora siede la Francia.

L’organizzazione, con sede a Ginevra, è un partenariato internazionale che si occupa di raccogliere e distribuire risorse per prevenire queste tre malattie con oltre 600 progetti in 140 paesi del mondo. Dicono che sia un vero peccato per l’Italia, che è stato il paese promotore del Fondo al tempo del G8 di Genova.

Nel 2009 all’Aquila, sempre in occasione del G8, il presidente del Consiglio dichiarò durante la conferenza stampa del secondo giorno di lavori che era stato lui a volere fortissimamente l’organizzazione ginevrina. ”Il nostro Paese – disse – è in leggero ritardo nel versare i soldi al Global Fund, ma entro il prossimo mese verseremo 130 milioni di dollari a cui ne aggiungeremo altri 30″.

Quei soldi non sono mai arrivati. E a quei 160 milioni di dollari che Silvio Berlusconi prometteva (una cifra fra l’altro che non corrispondeva a quanto promesso dall’Italia, che, secondo fonti del Fondo globale, aveva previsto per il 2009 una donazione di circa 183 milioni di dollari) si sono aggiunti altri 183 milioni per il 2010. In totale, mancano all’appello circa 366 milioni di dollari, oltre 240 milioni di euro.

Degli oltre 40 paesi donatori (a cui vanno aggiunte associazioni come quelle che fanno capo a Bill Gates e a Bono Vox) l’Italia è l’unico a non aver ancora versato la quota del 2009. Per quell’anno un miliardo di dollari è arrivato dagli Stati Uniti, 400 milioni dalla Francia, 184 dalla Gran Bretagna, 57 dalla Russia. Le stesse cifre più o meno sono state donate l’anno successivo: Australia, Belgio, Olanda, Cina, India, Giappone, Kuwait, Polonia, Romania, Sud Africa, Tailandia, solo per citarne alcuni, tutti i donatori hanno rispettato i loro impegni internazionali. Mancava di nuovo l’Italia, nel 2010 in compagnia del Portogallo, sull’orlo del tracollo finanziario.

“Essendo uno dei paesi promotori, spero davvero che l’Italia possa continuare a supportare il Fondo sia politicamente che finanziariamente – dice il presidente del Fondo Michel Kazatchkine -. E’ vero che a causa delle recenti sfide economiche, l’Italia ha avuto delle difficoltà a mantenere le promesse, ma spero vivamente che si possa trovare una soluzione”.

La cosa peggiore, aggiunge Stefan Emblad, responsabile della gestione delle risorse del Fondo, è che l’Italia non è riuscita a fare nessuna promessa per il periodo 2011-2013. “A ottobre al quartier generale dell’Onu di New York, si è tenuta la conferenza del Fondo presieduta dal segretario generale Ban Ki-moon - spiega Emblad-. Un appuntamento che ogni tre anni riunisce tutti i paesi donatori che in quell’occasione dichiarano con quale cifra si impegnano a sostenere i progetti da realizzare nel triennio successivo. Ebbene, nessuna promessa è arrivata dall’Italia”.

Se da un lato è meglio non promettere se poi bisogna disattendere, dall’altro, il fatto di avere completamente disatteso gli impegni e aver fatto scena muta sul futuro, ha causato la perdita del seggio. “A seguito della discussione fra i paesi membri si è deciso di sostituire nel consiglio di amministrazione l’Italia con la Francia, uno dei paesi più generosi, insieme agli Stati Uniti – ha detto Embland -. Di certo continueremo a dialogare con il ministero, ma credo che ci sia un impasse politico in Italia oltre che una generale mancanza di soldi”.

“Ma quei soldi sono davvero necessari per portare avanti altri progetti. Per dare un’idea di come opera il Fondo – ci spiega Embland – con circa 100 milioni di dollari (67 milioni di euro circa) il Fondo Globale può finanziare programmi annuali in cui fornisce farmaci antiretrovirali a 92mila persone affetta da Hiv, prevenendo 10mila morti l’anno, fornisce profilassi a 13mila donne sieropositive incinta per evitare la trasmissione madre-figlio, distribuisce oltre due milioni di zanzariere per proteggere le famiglie dalla malaria, medicine per oltre un milione di malati di malaria e cure per 83mila persone malate di tubercolosi”.

Il che vuol dire lottare contro malattie che limitano la possibilità di crescita economica e sociale di un paese e contribuire allo stato di salute del pianeta. Eppure i fondi non bastano mai. “Servirebbero oltre 15 miliardi di dollari per il triennio a venire – aggiunge il presidente Kazatchkine -. I donatori che si sono incontrati a New York ne hanno assicurati circa 11,7, una cifra che conferma la fiducia che i paesi hanno nel Fondo ma che purtroppo non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi e debellare le tre malattie. Personalmente, continuerò instancabilmente nel mio sforzo di cercare risorse addizionali al Fondo per contribuire anche al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio (otto traguardi di sviluppo che i membri dell’Onu si sono impegnati a raggiungere entro il 2015, ndr)”.

Ecco perché la donazione dell’Italia è così importante, soprattutto se si pensa che a luglio Roma ospiterà dopo vent’anni anni la Conferenza mondiale sull’Aids, dove sono attesi scienziati ed esperti internazionali, rappresentanti del mondo politico ed economico che affronteranno anche il tema dell’accesso alle cure nel sud del mondo, nell’anno del trentesimo anniversario della scoperta del virus dell’Hiv.

Come paese ospitante sarà il primo ministro a fare gli onori di casa. Già nel 2000 Berlusconi parlò di Aids, a bordo della nave Azzurra, sulla quale fece la crociera elettorale lungo le coste italiane. Sui malati raccontò una barzelletta.

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Messaggio Da anna Lun 16 Mag - 15:09

Intention poll Sky:
Moratti 47,5
Fassino 52 -
Merola 50 -
Lettieri 41

Elezioni, dalle città un test per il governo
Qui Milano - Torino - Bologna - Napoli Rep Tv
LA DIRETTA NON STOP - Con questi risultati, tutti al ballottaggio meno Torino, e forse Bologna. Cala l'affluenza, meno elettori per comunali e provinciali. Su Repubblica.it i risultati minuto per minuto. Occhi puntati sui quattro grandi comuni. Berlusconi: "Impensabile la città non governata da noi". La denuncia dell'agenzia di sondaggi Termometro politico: a Gallarate impediti exit poll di A. CORICA / SPECIALE ELEZIONI su repubblica.it


Intention Poll Sky su Torino: Fassino 52%, Coppola 33%

Intention Poll Sky su Milano: Moratti 47,5, Pisapia 43%

Intention Poll Sky su Bologna: Merola 50%, Bernardini 31%

Intention Poll Sky su Napoli: Lettieri 41%, Morcone 25%, De Magistris 21% 9 –
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Messaggio Da anna Lun 16 Mag - 15:18

Amministrative, exit poll: Milano e Napoli al ballottaggio. Torino a Fassino al primo turno


Centrosinistra che conta sulla vittoria al primo turno di Bologna e Torino. Pdl completamente concentrato su Milano, dove Berlusconi gioca il suo referendum personale. L’obiettivo dichiarato per il premier è quello di superare il record delle 53mila preferenze, oltre alla vittoria al primo turno di Letizia Moratti. Qui si giocano la tenuta dell’esecutivo e la linea dura dei falchi Pdl.

Dal centrodestra le prime voci che filtrano si dicono molto sicure. Almeno a leggere i dati sull’affluenza di ieri, infatti l’aumento dei votanti del capoluogo meneghino e la diminuzione di Bologna e Torino giocherebbe a favore del centrodestra. Tanto che ieri sera, riportano le cronache dei quotidiani, l’ottimismo si propagava dai vertici del partito: “A Milano possiamo farcela al primo turno” la parola d’ordine. Di tutt’altro avviso i vertici del Pd, che vedono nella partecipazione popolare la leva di un possibile rinnovamento. Almeno sulla carta, la vittoria del sindaco uscente sembra scontata, ma se il centrosinistra dovesse strappare il ballottaggio le carte sarebbero nuovamente mescolate.

Resta poi l’incognita di Napoli, dove il centrosinistra è arrivato spezzato in due ma Lettieri non è mai apparso un candidato abbastanza forte da guadagnare la vittoria al primo turno. Per il resto la seconda giornata elettorale, in attesa dei risultati, si gioca sul filo del silenzio. A Milano, dove il premier è tornato per l’udienza del processo Mills, la solita claque organizzata dal coordinatore regionale del Pdl Mantovani è stata annullata. Lo stesso Berlusconi, a margine dell’udienza, si è limitato a dire ai giornalisti: “Sono in silenzio elettorale, non mi fido di voi”. Ieri il premier è stato protagonista di un piccolo caso al seggio. Berlusconi infatti ha deposto la scheda nell’urna sbagliando la piega del foglio, che lasciava intravedere il simbolo del Movimento 5 stelle all’esterno. Nessuno però è intervenuto a correggere l’errore, tanto che qualcuno ha prospettato persino un possibile annullamento della scheda del presidente del Consiglio.

Tutti i risultati delle elezioni saranno disponibili in tempo reale sullo speciale del fattoquotidiano.it. Per commentare in diretta sarà sufficiente avere un account facebook, yahoo o hotmail.

DIRETTA DEL VOTO CITTA’ PER CITTA’: MILANO, BOLOGNA, TORINO, NAPOLI, CAGLIARI

La diretta minuto per minuto:

15:08 – Intention poll Sky: Fassino 52%, Coppola 33%

15:05 – Exit poll Digis – Napoli al ballottaggio, Lettieri al 41%

Secondo l’Intention Poll Digis per SkyTg24, nella corsa per il sindaco di Napoli sarebbe in testa Gianni Lettieri (Centrodestra), con il 41%, mentre Mario Morcone (Centrosinistra) si attesterebbe al 25%. Luigi De Magistris (Idv e altri) sarebbe invece al 21%. Le rilevazioni – secondo Digis – sono soggette ad un margine di errore compreso tra più e meno 2,5%.

15.00 – Exit poll Digis: Milano e Napoli al ballottaggio, Torino al primo turno al centrosinistra

Secondo l’Intention Poll Digis per SkyTg24, nella corsa per il sindaco di Milano sarebbe in testa Letizia Moratti (Centrodestra), con il 47,5% dei voti, mentre Giuliano Pisapia (Centrosinistra) si attesterebbe al 43%. Le rilevazioni – secondo Digis – sono soggette ad un margine di errore compreso tra più e meno 2,5%.

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Messaggio Da anna Lun 16 Mag - 17:33

siamo tutti concentrati su Milano per le ripercussioni che l'esito potrebbe avere, ma direi che anche Napoli merita tutta l'attenzione, dopo quello che è successo alle primarie pare che in questi giorni sia successo di tutto Rassegna Stampa - Pagina 17 30341

Napoli, caos e sospetti di voto di scambio

A Napoli, il voto amministrativo si chiude tra le polemiche. I rappresentanti dei partiti denunciano il clima di tensione nei quartieri più a rischio di infiltrazione della Camorra. Davanti ad un seggio di Scampia le denunce di semplici cittadini sulle irregolarità nella campagna elettorale e il voto di scambio. La Polizia è vigile di fronte alle scuole, sedi di seggio, e cerca di garantire la regolarità del voto. Interviene quando vi sono i casi di segnalazioni di violazioni delle leggi. Alla Scuola Montali, un presidente di seggio ha sorpreso un cittadino a fotografare la scheda già compilata. Subito è scattata la denuncia. Il Pd regionale lancia l’allarme: ”Quest’anno nei seggi si sta creando un problema: ci sono oltre che i rappresentanti di lista anche quelli dei candidati singoli. Questo – continua – comporta la presenza di oltre 20 persone in un seggio. I casi di liti sui voti saranno molteplici”. Il Comitato dell’Idv campano aggiunge: “Abbiamo segnalazioni di minacce, pressioni, compravendite di voti in zone come la Marianella, Secondigliano, Sanità, Bagnoli”.



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Messaggio Da anna Lun 16 Mag - 17:56

Referendum sull'atomo, c’è già il quorum: no dei sardi al nucleare
Bastava il 33 per cento, invece domenica alle 22 aveva già votato il 39,83 degli aventi diritto. Alle 11 di lunedì il dato è salito al 49 per cento. Soddisfatto Ugo Cappellacci: "La nostra isola non accetta scelte calate dall’alto"



Per il nucleare non c’è posto nell’isola, i sardi dicono no a centrali e siti di stoccaggio delle scorie. È bastata una sola giornata per raggiungere il quorum: serviva il 33 per cento, a tarda notte il dato sull’affluenza sfiorava il 40 (39,83), la vittoria del Sì appare scontata. L’obiettivo è stato centrato e il messaggio, rivolto al governo nazionale, è forte e chiaro. La soddisfazione è enorme, i politici di ogni colore esultano. Bustianu Cumpostu, anima della consultazione, dice che «i sardi hanno tirato fuori l’orgoglio». E si vota anche oggi, dalle 7 alle 15: c’è ancora tempo per fare il botto.

Che i numeri crescano se lo augura anche il presidente della Regione, Ugo Cappellacci. Che alle 22.30, di fronte al 37,3 per cento di affluenza che significava vittoria e pure in anticipo, ha rotto gli indugi, dopo la comprensibile cautela mostrata di fronte ai dati precedenti: affluenza ferma al 10,32 per cento a mezzogiorno, un incoraggiante 28,74 alle 19. Poi tre ore e mezza dopo, la certezza e le parole liberatorie: «Con questo pronunciamento il popolo sardo dice che intende scegliere - dice Ugo Cappellacci -, che la nostra isola non accetta scelte calate dall’alto e che intende invece proporsi come modello da seguire a livello nazionale ed internazionale». Poi l’invito ai ritardatari, perché oggi vadano alle urne. Perché più i numeri cresceranno «più la volontà dei sardi sarà scolpita nel granito - aggiunge Cappellacci -, per oggi e per il futuro». Il governatore sul referendum aveva fatto una scelta di campo, sostenendo la necessità di votare sì per tenere alla larga dall’isola centrali e siti di stoccaggio.

Il referendum, come tutti quelli regionali, è consultivo, dunque l’u ltima parola spetterà al governo nazionale. Ma la Corte Costituzionale in una recente sentenza ha stabilito che il parere delle Regioni deve essere tenuto in debito conto. Dunque, il fatto che la Sardegna abbia espresso contrarietà all’atomo rappresenta un punto a suo favore in uno scenario nazionale nebuloso, con il referendum abrogativo (12-13 giugno) ancora in bilico e gli scienziati che considerano l’isola, per il fatto di essere geologicamente stabile e scarsamente popolata, terra ideale per accogliere le centrali.

Ecco perché, dice Bustianu Cumpostu, leader di Sardigna Natzione e promotore del comitato per la raccolta delle firme (16.286 quelle depositate), dice che «il segnale deve essere ancora più forte». Lui sogna che il quorum arrivi al 50 per cento, ma lo sussurra appena, per scaramanzia e perché «se così fosse, sarebbe un risultato veramente travolgente, in un’isola che con i referendum non ha mai mostrato feeling e dove l’affluenza alle urne è sempre più bassa». Sperare però è legittimo, come lo è immaginare che dalla Sardegna parta un grande movimento antinuclearista nazionale ed internazionale. «Ora pensiamo al referendum abrogativo - aggiunge Cumpostu - noi non abbiamo dubbi che si farà. I sardi saranno chiamati a votare per la seconda volta, insieme al resto degli italiani. E quello sarà l’appuntamento decisivo, nel quale potremo mettere una pietra tombale sul nucleare e sugli scellerati programmi di chi ci governa a Roma. Intanto il primo passo, fondamentale, noi sardi l’abbiamo fatto». Esulta anche Silvio Lai, il segretario regionale del Pd, in attesa dei dati nella sua abitazione di Sassari: «Alle 19, tre ore prima della chiusura dei seggi, ho capito che era fatta, perché la percentuale sfiorava già il 30 e c’è anche domani (oggi ndr) per andare a votare. Poi i dati delle 22 hanno dato ragione al mio ottimismo: è andata bene, la Sardegna ha messo per iscritto che non vuole il nucleare, il governo dovrà prenderne atto». E la soddisfazione è ancora più grande «perché il risultato positivo non era affatto scontato», dice il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau, che nei giorni scorsi, insieme ai sindaci di altri comuni grossi non coinvolti nelle amministrative, aveva rivolto un appello ai suoi concittadini: «Andate a votare, non perdiamo questa occasione».

Missione compiuta, anche a Sassari e in provincia, dove come in tutte le altre 7 è stato raggiunto e superato il quorum con mezza giornata di anticipo: l’affluenza più alta nel del Medio-Campidano (dove ci sono le amministrative a Villacidro) e nel Sulcis (dove oggi si conosceranno i nomi dei nuovi sindaci di Carbonia e Iglesias). E le altre province, quelle dove non è stata superata la percentuale del 40 per cento, hanno ancora 8 ore di tempo per migliorare.

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Messaggio Da Lucy Gordon Lun 16 Mag - 18:01




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Messaggio Da anna Lun 16 Mag - 23:55

"Draghi al vertice della Bce"
L'Eurogruppo incorona il governatore
A Bruxelles accordo raggiunto fra i ministri della zona euro sulla candidatura alla presidenza della Banca centrale europea. Domani l'avallo dell'Ecofin, poi arriverà sul tavolo dei leader al vertice Ue del 24 giugno per la decisione definitiva


I ministri dell'Eurogruppo hanno raggiunto un accordo per indicare Mario Draghi come prossimo presidente della Bce. E' quanto si apprende al termine della riunione a Bruxelles. Domani, la candidatura del governatore di Bankitalia riceverà l'avallo dell'Ecofin, per poi arrivare sul tavolo dei leader al vertice Ue del 24 giugno per la decisione definitiva. La candidatura di Draghi per il dopo-Trichet è stata l'unica posta sul tavolo dell'Eurogruppo.

Ora la decisione finale sulla nomina - previo il parere non vincolante sia del Consiglio direttivo della Bce sia del Parlamento europeo - spetta ai capi di Stato e di governo dell'Unione europea che si riuniranno a Bruxelles il prossimo 24 giugno. Prima di quella data, il presidente designato dovrà sottoporsi all'esame del Parlamento europeo, sia rispondendo a una serie di domande scritte degli eurodeputati, sia presentandosi in audizione davanti alla Commissione affari economici e monetari. Draghi dovrebbe insediarsi sulla poltrona più alta dell'Eurotower, a Francoforte, il prossimo primo novembre.

L'assenza di altre candidature era ormai data per scontata, dopo che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, aveva sciolto la sua riserva, dicendosi favorevole alla candidatura Draghi, già sostenuta peraltro dal presidente francese Nicolas Sarkozy e da vari altri paesi, compresi Spagna e Lussemburgo, guidato dallo stesso Juncker. Steffen Seibert, portavoce del cancelliere tedesco Angela Merkel, durante il consueto briefing con la stampa a Berlino, oggi ha ribadito che "il governo tedesco, come gli altri governi europei, ha espresso il suo sostegno a Mario Draghi alla guida della Bce".

L'incontro dei ministri delle Finanze del Ppe era stato convocato per parlare dei temi in agenda dell'Eurogruppo di oggi e dell'Ecofin di domani, ma ha finito inevitabilmente per occuparsi anche delle possibili conseguenze della vicenda che ha portato all'arresto per violenza sessuale, a New York, del direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn.

La vicenda di cronaca che coinvolge Strauss-Khan ha avuto effetti pesanti sull'andamento delle Borse e se da un lato condiziona pesantemente la corsa alle presidenziali francesi, dal momento che il direttore del Fmi era il candidato in pectore dei socialisti, dall'altro ha scatenato una serie di rumors sulla successione ai vertici del Fondo monetario. Una di queste voci riguardava lo stesso Mario Draghi, ma da Bankitalia è arrivata una smentita: il governatore, hanno riferito all'Agi fonti di Palazzo Koch, "non è interessato in alcun modo" a guidare il Fondo monetario internazionale.

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Messaggio Da anna Mar 17 Mag - 9:43

Un'altra Italia


LA FAVOLA è finita. Il berlusconismo come narrazione epica e proiezione carismatica cade sotto i colpi della nuda verità. Non c'è più spazio per la menzogna sistematica, la propaganda populistica, la manipolazione mediatica. Questa volta il presidente del Consiglio non può brandire sondaggi posticci come armi di distrazione di massa. Questa volta c'è il voto di tredici milioni di italiani, a dimostrare che la sua parabola politica non è un "destino ineluttabile", e nemmeno una "biografia della nazione".

È stato Berlusconi ad annunciare che questo appuntamento elettorale era molto più che una contesa locale. È stato lui stesso a definire il voto di Milano "un test nazionale", e a trasformare di nuovo (come ha sempre fatto dalla mitica discesa in campo del '94) la chiamata alle urne nell'ennesimo, titanico "referendum" sulla sua persona. Ebbene, la risposta degli elettori è inequivocabile. Il premier ha perso il suo referendum. E lo ha perso in modo clamoroso, subendo il colpo più devastante proprio nel cuore del suo sistema di potere. Nella città dove la favola era cominciata, e dove la destra forzaleghista ha costruito negli anni una roccaforte che pareva inespugnabile e un'egemonia che sembrava insuperabile.

Questo voto fotografa innanzi tutto una rovinosa sconfitta personale del premier. Berlusconi ha personalizzato l'intera campagna elettorale. Con una strategia chiara: killeraggio politico contro gli avversari nelle città, stato d'assedio permanente contro le istituzioni nel Paese. Mentre sparava parole come pallottole contro le toghe "cancro da estirpare" e contro il Quirinale "potere da ridimensionare", il Cavaliere è sceso in battaglia da capolista a Milano (mettendo la faccia e la firma persino sull'accusa vergognosa e violenta della Moratti contro Pisapia) ed è sceso in campo da tribuno a Napoli (rilanciando le sue colossali "ecoballe" sulla sciagura dei rifiuti, persino quella colpa dei "pm politicizzati"). La strategia non ha pagato. Di più, si è rivelata un suicidio, in entrambi i comuni sui quali il premier si è speso in prima persona.

Milano va al ballottaggio, per la prima volta dal '97, con Berlusconi che vede più che dimezzati i suoi voti di preferenza rispetto alle comunali del 2006, il candidato del centrosinistra che è in vantaggio, il Pd che diventa primo partito della città. E con Pisapia che, a dispetto della bugiarda imboscata morattiana sul suo passato di "amico dei terroristi", viene votato in massa come unico e autentico esponente dei "moderati" nel capoluogo lombardo. Un vero e proprio "miracolo a Milano". E al ballottaggio va anche Napoli, dove Lettieri non sfonda nonostante i disastri del Partito democratico dalle primarie in poi.

Ma questo voto fotografa anche una sconfitta politica della maggioranza. Questa volta non perde solo Berlusconi. Al contrario di quanto accadde alle politiche di tre anni fa, i voti in uscita dal Pdl non sono stati drenati dalla Lega, che a Milano cede quasi 5 punti sulle regionali del 2010 e poco più di 3 punti sulle politiche del 2008. La vagheggiata Padania, invece di rafforzarsi ed espandersi, sbiadisce e restringe i suoi confini. A Torino stravince Fassino, a Bologna vince Merola, e capoluoghi importanti come Trieste e Savona, Varese e Pordenone, Rovigo e Novara, vanno al secondo turno. Il vento del Nord ha iniziato a cambiare direzione. E questo, per il Carroccio, è molto più che un campanello d'allarme.

Bossi non può dire, come aveva sussurrato prima del voto, "se la Moratti vince abbiamo vinto noi, se perde ha perso Berlusconi". Di fronte a questi dati, è l'intera alleanza forzaleghista che affonda. La Lega paga un prezzo altissimo alla sua metamorfosi, da partito di lotta a partito di governo. E paga un conto salatissimo a quel "vincolo di coalizione" che l'ha unita e la unisce al Pdl: ha sostenuto le campagne più odiose e onerose del Cavaliere, dalle norme ad personam alla guerra in Libia, e non ha ancora portato a casa il federalismo "realizzato". Quanto possono reggere le camicie verdi, ingabbiate dentro questo patto scellerato, e private dello spirito libero, rivoluzionario e pre-politico, grazie al quale hanno sfondato gli argini del Po dal 2001 in poi?

Ma questo voto fotografa anche la vittoria politica delle opposizioni. Di tutte le opposizioni. Il Pd esce dal voto con qualcosa in più del risultato che si aspettava. Bersani aveva detto: mi accontento di due vittorie piene (Torino e Bologna) e di due ballottaggi (Milano e Napoli). È andata esattamente così. Con un dato milanese che va al di là di tutte le aspettative: certo, almeno nel voto di lista dovuto più alla debolezza dell'avversario che alla forza dello sfidante. Ma un dato pur sempre sorprendente, che si accompagna ad una ripresa anche nelle altre città e province in cui si è votato. Con questi numeri, sarà difficile pretendere dal segretario una "verifica" sulla linea politica, come qualcuno aveva chiesto inopinatamente prima del voto. Con questi numeri, sarà opportuno che l'intero stato maggiore dei democratici coltivi il valore dell'unità e non più il rancore delle divisioni.

Il Terzo Polo di Casini e Fini, anche se ottiene un rendimento non esaltante dal punto di vista dei candidati, si consolida come ago della bilancia su scala nazionale. Esattamente quello a cui puntava: con il Centro, grande o piccolo che sia, bisogna scendere a patti, per vincere le elezioni. Anche se la diaspora all'interno di Futuro e Libertà non pare finita, e produrrà probabilmente altre dolorose rese dei conti.

Le altre forze a sinistra del Partito democratico crescono in modo significativo. Non solo l'Idv, con l'exploit di De Magistris a Napoli, ma anche Sinistra e Libertà di Vendola e i candidati "grillini" a Milano e soprattutto a Bologna. Qualche anima bella, soprattutto nel centrodestra sedicente "moderato", lamenterà ora il rischio di un preoccupante bradisismo elettorale verso le ali più radicali dell'opposizione. Ma che cosa c'è stato di più irriducibilmente estremista e tecnicamente eversiva, in questi mesi, se non la guerra totale condotta da Berlusconi contro tutti i suoi nemici?

E ad ogni modo, con questi risultati bisogna confrontarsi, prendendo atto che nel Paese un'ampia fetta di elettorato sente un bisogno di rappresentanza per una sinistra più solida e visibile, in quella metà del campo. In vista dei ballottaggi, questa vastissima area di opposizione è chiamata all'assunzione di una responsabilità forte, all'altezza del compito che gli elettori le hanno affidato. Si vedrà poi quali effetti potranno scaturire, a livello nazionale, da questa scomposizione e ricomposizione del fronte "anti-berlusconiano". Se cioè potrà esserci il rischio di riproporre sul mercato politico una copia sbiadita dell'improponibile Unione del 2006, o se potrà nascere su basi nuove e diverse quell'Alleanza costituzionale per la fuoriuscita dal berlusconismo, senza scorciatoie tattiche o contaminazioni ideologiche.

Ci sarà tempo per riflettere sul dato più generale di queste elezioni amministrative, che ci consegnano un Paese con un elettorato molto più saggio, più pragmatico e più fluido di come forse lo immaginavamo. Un elettorato che non affida cambiali in bianco a nessuno, nemmeno al Grande Imbonitore di Arcore. Che chiede fatti e non parole, soluzioni e non rappresentazioni. Un elettorato che non sembra affatto contento del bipartitismo imperfetto e improduttivo di questi anni e che, pur senza rinnegare le logiche del bipolarismo, guarda a orizzonti più ampi ed esige alleanze più larghe.

Ma intanto occorre prendere atto che quest'area di forte opposizione a Berlusconi esiste. Ed è vastissima. Forse è già maggioritaria, in questa Italia evidentemente non del tutto narcotizzata dal quasi Ventennio dell'anomalia berlusconiana. Un'Italia stanca di guerra, di tracotanze istituzionali e di prepotenze mediatiche, di abusi di potere e di leggi su misura. Un'Italia che non ne può più di un esecutivo indeciso a tutto e di un capo di Stato che incarna l'Anti-Stato. Anche la Lega non potrà non tenerne conto, nella fase che si apre di qui al termine della legislatura. Non si può più governare con l'Intifada azzurra di Berlusconi e con i Responsabili di Scilipoti. Il voto di ieri dimostra che questo Paese merita molto di più, e molto di meglio.


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Messaggio Da mambu Mar 17 Mag - 11:07

L'operazione "lecchiamo il culo alla Lega perché molli il nano" è partita già da un po' e i risultati di ieri la rilanciano. In più, ci fa notare Repubblica, comincia anche la leccata di culo ai grillini. Rassegna Stampa - Pagina 17 1532903768
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Messaggio Da anna Mar 17 Mag - 11:28

Elezioni, c’è una luce in fondo al tunnel


Di una cosa possiamo essere sicuri: d’ora in poi nella politica italiana niente sarà più come prima. Il voto di ieri, che proprio Silvio Berlusconi aveva presentato come un referendum su se stesso e sul suo governo, ha dato un responso chiaro. Ha detto che il Paese non ne può più del Cavaliere. Ha dimostrato che il suo disprezzo per le regole, per gli avversari, per l’etica e per l’educazione, ha ormai irrimediabilmente stancato.

Per questo non è azzardato prevedere che, se tra quindici i giorni anche i ballottaggi – a partire da quello di Milano – si concluderanno nello stesso modo, la permanenza del presidente del Consiglio pro-tempore a Palazzo Chigi rischia di durare meno di quanto lui speri.

La partita però è tutt’altro che chiusa. Per dare una scossa e frantumare la maggioranza parlamentare che Berlusconi ancora controlla, non sarà sufficiente che all’ombra della Madonnina Giuliano Pisapia strappi (fatto probabile, ma non del tutto certo) la poltrona di sindaco a Letizia Moratti. Decisivo sarà anche il ben più difficile secondo turno di Napoli dove Luigi De Magistris per vincere dovrà ottenere l’appoggio degli elettori del Pd e del Terzo polo.

Solo così i signori del Palazzo sentiranno realmente il fiato sul collo dei cittadini. Solo così le crepe nelle fila del centrodestra si allargheranno fino a rendere palese il fatto che la maggioranza (quasi quanto il Paese) ha mille problemi. Ma che il più grosso di tutti è lui: il settantacinquenne Berlusconi.

Poi, per completare l’opera, bisognerà pensare al passo successivo: i referendum di giugno. Ieri in Sardegna quello consultivo sul nucleare ha dimostrato come realmente sull’atomo sia possibile raggiungere e superare (e di molto) il quorum.

Al Senato, già questa settimana, si dovrebbe cominciare a discutere la legge Omnibus in cui Berlusconi, per sua stessa ammissione, ha introdotto l’abrogazione a tempo delle centrali, in modo da evitare la consultazione nazionale e poi riprendere, tra un paio d’anni, il programma atomico. Una furbata, o meglio un furto di democrazia dichiarato, che però potrebbe non bastare per evitare il voto. Sia perché la corte di Cassazione può ammettere il referendum lo stesso (la legge attuale non verrà interamente abrogata da Palazzo Madama), sia perché il presidente Giorgio Napolitano può evitare di promulgare immediatamente le nuove norme (per farlo ha 30 giorni di tempo), dando così agli elettori la possibilità di esprimersi.

Ecco perché i referendum, tra i quali accanto a quello sull’acqua pubblica è presente quello sul legittimo impedimento, sono ora, con i ballottaggi, la nuova tappa nella corsa per ristabilire (o meglio stabilire) nel nostro Paese dei canoni da normale democrazia .

La festa di Milano per la vittoria di Pisapia, alla quale sono accorse senza essere state convocate da nessuno migliaia di persone, e i risultati straordinari raggiunti in molte città del Movimento 5 Stelle (il vero terzo polo), dimostrano come in Italia tra i cittadini ci sia una gran voglia di riappropriarsi della politica con la P maiuscola. Chi ora è asserragliato nel palazzo la sa benissimo. Per questo la partita è tutt’altro che chiusa. Ma in fondo al tunnel, dopo tanti anni, si intravede un po’ di luce.


ilfattoquotidiano

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Messaggio Da anna Mar 17 Mag - 14:21

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Con 1068 voti Mangoni è stato il più votato della sua lista dopo Milly Moratti e batte Lassini!

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