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Messaggio Da mambu Sab 15 Ott - 16:51

è vero scusa: quelle sono spese ordinarie Music Press - Pagina 11 378480
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Messaggio Da ubik Sab 15 Ott - 16:54

mambu ha scritto:è vero scusa: quelle sono spese ordinarie Music Press - Pagina 11 378480

mi riferivo al genere, non al tipo di spesa Music Press - Pagina 11 561231
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Messaggio Da mambu Sab 15 Ott - 16:59

ubik ha scritto:
mambu ha scritto:è vero scusa: quelle sono spese ordinarie Music Press - Pagina 11 378480

mi riferivo al genere, non al tipo di spesa Music Press - Pagina 11 561231

lucione è notoriamente bigusto Music Press - Pagina 11 561231

e poi si possono chiamare al femmineo pure i maschietti, no? Music Press - Pagina 11 2546660598
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Messaggio Da Cantastorie Sab 15 Ott - 17:10

ma anzicchè "far finta" di far cose nove addirittur extra l'ordinario quasi alla soglia dell'imponderabile paranormale....
uno dichiarasse: " mi s'è esaurita la vena criativa, ascoltatevi quello che ho già fatto e non me rompet le balls col "finto-pacchetto novo", ve pago sei lire de penale e non me nvocate pppiu' che nn c'ho che divve Suspect
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Messaggio Da anna Sab 15 Ott - 17:25

Music Press - Pagina 11 378480 non c'ha che dirci ma vuol lo stesso incassare Music Press - Pagina 11 2546660598

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Messaggio Da anna Mar 25 Ott - 11:07

Adele, U2 e gli altri: tutti i vincitori dei 'Q Awards'


Anche quest'anno "Q" ha emesso il verdetto. I premi del venerabile mensile musicale britannico fondato nel 1986 sono stati assegnati presso l'albergo Grosvenor House di Londra e, come spesso accaduto in passato, non si sono verificati grandi scossoni. Vincitrice "obbligata" era Adele, vista l'enorme affermazione del suo album "21", e così è stato; la cantante londinese è tornata a casa con due titoli. Il premio speciale "Greatest Act Of The Past 25 Years", assegnato per i 25 anni della rivista, è andato agli U2. Il "Best album" è stato assegnato ai Bon Iver. Il gruppo folk di Justin Vernon ha battuto una concorrenza formata da Elbow, Arctic Monkeys e PJ Harvey. L'"Outstanding Contribution To Music", in pratica il premio alla carriera, è finito nelle tasche di Siouxsie Sioux, la 54enne cantante emersa nel periodo punk. La lista dei vincitori:


Breakthrough Artist - Ed Sheeran

:: Best New Act - WU LYF

:: Classic Songwriter - Gary Barlow

:: Best Track - Adele, "Rolling in the deep"

:: Innovation In Sound - Kaiser Chiefs

:: Inspiration - Fatboy Slim

:: Next Big Thing - Lana Del Rey

:: Best Video - Jessie J, "Do it like a dude"

:: Best Album - Bon Iver, "Bon Iver"

:: Best Live Act - Biffy Clyro

:: Classic Song - Snow Patrol, "Chasing cars"

:: Q Icon - Noel Gallagher

:: Best Male Artist - Tinie Tempah

:: Best Female Artist - Adele

:: Outstanding Contribution To Music - Siouxsie Sioux

:: Best Act In The World Today - Coldplay

:: Hall Of Fame - Queen

:: Greatest Act Of The Past 25 Years - U2

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Messaggio Da anna Mar 25 Ott - 11:29

Music Press - Pagina 11 561231 ogni tanto non posso fare a meno di dare spazio al simpatico Scanzi Music Press - Pagina 11 2546660598


Cantautori, le belle parole oggi non suonano più


Tu sei forte/ tu sei bello/ tu sei imbattibile/ tu sei incorruttibile/ tu sei un cantautore/ tu sei saggio/ tu porti la verità/ tu non sei un comune mortale”. Così cantava Edoardo Bennato a fine Settanta. Ce l’aveva con i cantautori, (presunte) anime elette. Quelli che avevano “lingue allenate a battere il tamburo” e “voci potenti adatte per il vaff…”, come avrebbe sintetizzato Fabrizio De André, ma che già al tramontare degli “anni affollati” – così li chiamava Giorgio Gaber – stavano diventando altro. Un po’ tromboni e un po’ tengofamiglia. Invecchiavano anzitempo. E adesso non ci sono più.

Chi è scomparso e chi ha incontrato una morte un po’ peggiore, come gli avventori delle osterie di fuori porta di Francesco Guccini. Giovedì sono state ufficializzate le Targhe del Premio Tenco (12 e 13 novembre). La rassegna cantautorale sanremese agonizza sempre più. Peccato. Fondi tagliati, ostracismi politici. E scelte artistiche scellerate degli organizzatori, ancora convinti che le canzoni son di sinistra – e quindi “colte” – soltanto se annoiano.

I soldi scarseggiano al punto che la Targa straniera sarà una sola, al cèco Jahomir Nohavica (chi?). Premi speciali a Mauro Pagani (come operatore culturale) e a Luciano Ligabue per la versione acustica di Arrivederci mostro. Ci sta: rileggendo la sua opera, onesta ma bruttina nella versione originale, Ligabue ha ribadito talento istintivo e dimestichezza con il folk. Se smettesse di essere permaloso e, già che c’è, provasse a inseguire strade diverse dalla mera reiterazione furbastra di se stesso, avrebbe ancora cose da dire. Peraltro ben dicendole.

Il Premio Tenco muore, non solo per mancanza di fondi. Scompare perché premia un simulacro, un caro estinto: una categoria che non esiste quasi più. Evaporata per sua stessa mano. Il profeta armato di voce e chitarra aveva senso nei Sessanta e Settanta: oggi, molto meno. Tutto è cambiato e chi ha saputo resistere lo ha fatto in virtù della capacità di rivoluzionarsi.

Se De Andrè si fosse fermato a La canzone di Marinella, sarebbe ricordato come un Venditti di talento: invece non ha mai smesso di mettersi in discussione. Mai: i tour con la Pfm, Creuza de mà, Le nuvole. Faber è rimasto artisticamente vivo grazie al genio e alla volontà ostinata e contraria di allontanarsi dagli stereotipi. L’esatto contrario di Roberto Vecchioni, di per sé mai un capofila, definitivamente cristallizzato (e disinnescato) con la vittoria a Sanremo 2011. Tra un peana di Massimo Giletti e un miserere dell’aquila di Ligonchio.

La Targa Tenco per il miglior disco è andata di nuovo a Vinicio Capossela, per il suo Marinai profeti e balene. Non è in discussione il talento schizoide di Capossela, che partendo da exempla manifesti (Tom Waits e Paolo Conte) ha trovato una sua cifra. Ovunque proteggi, uscito cinque anni fa, resta un capolavoro autentico. A furia di dribblare e dribblarsi, Capossela sembra però giunto alla saturazione: al troppo riempire, alla esondazione sterile di contenuti e citazioni. Allo stordimento soporifero (dell’ascoltatore).

Anche Ivano Fossati, cantautore sui generis e per questo anima salva, aveva provato a saturare la forma-canzone con Macramè e La disciplina della terra. Era la fine dei Novanta. Edmondo Berselli e Gianni Mura lo impallinarono, accusandolo di eccesso di cerebralità, ma a risentirli adesso – e a dire il vero pure al tempo – quei brani erano preziosi. Già, Fossati: il suo ritiro, che ha infastidito Aldo Grasso perché in pensione ci si va (se ci si può andare) in silenzio e senza Fabio Fazio come megafono commerciale, pare espressione di lodevole onestà intellettuale: l’artista che avverte la propria consunzione e si chiama fuori. Come i Rem, come (più o meno) Guccini e come promette (ma non mantiene) Vasco.

Come sta il cantautorato? Male, grazie. È in pensione ma finge di non accorgersene. Oppure è un giovane vecchio con un meraviglioso avvenire alle spalle. C’è chi è fiero di un’adesione filologica ai modelli, come Mauro Ermanno Giovanardi. Chi guarda ai percorsi punk-bolscevici di Cccp e Csi. Chi si spinge così avanti da ritrovarsi in fuorigioco. E c’è chi canta i padri: Cristiano De Andrè, Alberto Bertoli e soprattutto Filippo Graziani, figlio di Ivan, grande sottovalutato d’Italia. Forse perché, come Rino Gaetano, aveva un’idea non polverosa e addirittura rock di cantautorato: troppo eclettico per piacere ai dogmatici, grande iattura della canzone d’autore.

Che belli i dischi dei figli di cotanti padri: ma – anche – che paura di ammettere come la moda delle cover certifichi la superiorità dell’idea vecchia. Del passato. Uno dei più dotati alfieri del “nuovo” cantautorato, Paolo Benvegnu, in una intervista a Blow Up ha esortato i giovani a osare: ispirarsi di meno a Ennio Flaiano e di più a Italo Calvino. Lui, nel suo piccolo, lo fa. E come lui Daniele Silvestri e Samuele Bersani, Caparezza e Paola Turci, Giulio Casale e Afterhours, Nada e Carmen Consoli, Marco Parente e Marlene Kuntz, Bobo Rondelli e Andrea Rivera, Cristina Donà e Andrea Chimenti. Eccetera.

La leva cantautorale degli Anni Zero tarda però ad arrivare. I trenta/quarantenni soffrono. Hanno spunti, ma non sanno sedimentarli. O forse è cambiato tutto, a partire dalla fruizione della musica. Chissà, forse i veri cantautori di oggi sono i rapper e un Fabri Fibra vale più di qualsiasi Bugo.

Il miglior cantautorato italiano, per quanto – pure lui – derivativo da chansonnier francesi e folksinger angloamericani, è stato straordinario. Da Tenco a Ciampi, da Gaber a Jannacci, da De André a De Gregori, da Conte a Fossati. Bei tempi. Ora però è tutto cambiato. La vecchia ricetta non funziona più e quelle nuove non mordono (o mordono a caso). Anche per oggi non si vola.

La leva canora degli Anni Zero

Dieci nomi validi della leva cantautorale degli Anni Zero.

1) Pan Del Diavolo. Duo siciliano. L’esordio di un anno fa, Sono all’osso, è di follia e bellezza rare.

2) Luci della Centrale Elettrica. Ovvero Vasco Brondi, amatissimo e odiatissimo. Il suo Canzoni da spiaggia deturpata (2008) era notevole, con tanto di slogan esistenziale (“E cosa racconteremo ai figli che non avremo/di questi cazzo di Anni Zero”). In seguito ha però dimostrato di conoscere giusto due accordi, di amare testi più “ad minchiam” che onirici e di vantare l’eclettismo di una mietibatti.

3) Bugo. Aka Cristian Bugatti. Stupì con Sentimento Westernato(2001). Ha mantenuto un buon livello. Alfiere del “cantautorato strano”, in Nuovi rimedi per la miopia ha virato su temi intimisti.

4) Offlaga Disco Pax. “Collettivo neosensibilista contrario alla democrazia nei sentimenti”, capitanato da Max Collini. La partenza (Socialismo tascabile) era di pregio.

5) Dente. Cioè Giuseppe Peveri. Tra i più incensati dalla critica. Nel recente Io tra di noi si rifà a Charles Aznavour. Genere alternativo-depresso.

6) Mannarino. Eternato da ospitate televisive, è bravino. E originale, se solo prima di lui non fossero già esistiti Stefano Rosso e Capossela. Ha già atteggiamenti da divo. E non è il caso.

7) Samuel Katarro. Si chiama Alberto Mariotti e a dispetto del nome d’arte è bravo. Non distante da Syd Barrett, ha davvero poco di italiano.

8) Io sono un Cane. Vero nome Jacopo Incani. Pubblica per Trovarobato, come Katarro. Punkeggiante, folle, arruffone ma con doti. Per chi ama la new dog wave, si segnalano anche I Cani.

9) Luigi Mariano. Derivativo (Gaber anzitutto), ma il suo Asincrono ha perle inattese. Non è “protetto” dal Tenco, a differenza degli Zibba, Brunori Sas e Patrizia Laquidara, ma non gli è inferiore.

10) Baustelle. Il leader è Francesco Bianconi.Se nella musica contassero unicamente i testi, e saper cantare fosse un optional, qualche plauso lo meriterebbero pure.

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Messaggio Da ubik Mar 25 Ott - 21:27

anna ha scritto:...8) Io sono un Cane. Vero nome Jacopo Incani. Pubblica per Trovarobato, come Katarro. Punkeggiante, folle, arruffone ma con doti...

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Messaggio Da Lucy Gordon Mer 2 Nov - 0:48




«Novembre 1988 – Novembre 2011: la Irma records compie 23 anni e li festeggia regalando ai lettori di XL una compilation in free-download con una selezione dei suoi artisti scelti tra quelli che quest’anno hanno visto o vedranno alla luce un loro nuovo album. Perchè gli artisti e i loro dischi passati in questi 23 anni di lavoro della Irma sono tanti… alla fine degli anni 80 esplodeva l’house music e la neonata Irma dava alle pubblicazioni brani come Found Love dei Double Dee raggiungendo le vette delle classifiche di vendita dance di tutto il mondo. A metà anni 90 la Irma inizia la produzione di album lanciando i Jestofunk con il loro primo lavoro Love In A Black Dimension. Poi artisti quali Frankie Hi Nrg, Colle Der Fomento, Sarah Jane Morris, Bossa Nostra o i Montefiori Cocktail che con il loro suono hanno dato vita al genere cosiddetto “Cocktail Music”. Nel 2004 la scoperta dei Kaleidoscopio che con il loro Voce me apareceu raggiungono un successo internazionale.
Oggi la Irma records oltre a mantenere alta la qualità del proprio catalogo e dei generi musicali cosiddetti da ‘club’, si occupa di musica italiana e di musica indierock.
23 anni insieme alla musica e insieme a voi: sounds good!!!».


http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/10/26/irma-b-day-collection/



qui la compilation agratiseeee Music Press - Pagina 11 79629 compilation gratise
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Messaggio Da ubik Gio 3 Nov - 20:44

Da "Sette" del "Corriere della Sera"

"Sono una signora di 77 anni che non ha mai avuto così tanta voglia di fare felice la gente e se stessa con il suo canto".
Questo è l'autoritratto di Ornella Vanoni oggi. Quel che è stata la sua vita finora lo racconta, invece, a Giancarlo Dotto in "Una bellissima ragazza", da ieri in libreria per Mondadori. ‚
"Sette" ha scelto in esclusiva alcuni brani del libro dedicati agli uomini che hanno costellato la vita di questa grande protagonista della musica. E segnato un periodo della storia italiana

STREHLER, E LA MIA VITA NON FU PIÙ LA STESSA
Per andare da casa mia, a Porta Venezia, al Piccolo, io prendevo il tram, l'11. Strehler, che era timido anche lui, seguiva il tram con la sua orrenda millecento amaranto col tetto bianco. Sembrava una ciliegia con la panna. Mi aspettava e mi seguiva con la sua ciliegia. Non poteva essere un caso. Non era un caso. Mi seguiva, ma senza mai avvicinarmi.

Scendevo dal tram e lui si era volatilizzato. Poi, finisce l'anno, supero l'esame e lui ci porta tutti a casa dell'architetto Marco Zanuso, tutti pigiati nella sua macchina. Al ritorno, l'ultima da accompagnare a casa ero io. Anche questo non poteva essere un caso. Non lo era. Mi dichiarò il suo amore.

Avevo diciannove anni e non chiedermi cosa mi ha detto o cosa abbiamo fatto. Non me lo ricordo. Anzi, sì. Mi ha baciata, ci siamo abbracciati e abbiamo fatto anche l'amore. Sono tornata a casa che ero in estasi. Lui mi telefona, eccitatissimo, alle quattro del mattino: "Adesso faccio El nost Milan e sarà uno spettacolo stupendo perché ora ci sei tu vicino a me. Te lo dedico".

Per una ragazza incontrare un uomo di quel calibro è una cosa che ti schianta la vita. Se oggi mi chiedi se l'ho amato, ti dico di sì, ma ti dico anche che ero probabilmente molto innamorata dell'amore che lui provava per me. Lui aveva trentadue anni, tredici più di me. Ai miei occhi, una figura mitica e il mio amore era, forse, anche un riflesso di quel mito che si umanizzava fino al punto di dichiararsi cotto di me. La mia vita non fu più la stessa. Il maestro finto burbero e la studentessa vera timida diventarono una cosa sola. (...)

Non sapevo che Giorgio fosse un erotomane. Non l'avevo sospettato nemmeno quando, mentre lui lavorava e io gli ronzavo intorno, commentava pieno di ammirazione le qualità del mio culo. Non mi sono mai sentita intimorita all'idea di congiungermi carnalmente con un mito. Di lui mi sono sempre fidata, anche troppo, e comunque io ero molto sicura del mio bellissimo corpo, anche se questo non mi aiutava psicologicamente, perché io di base non mi piacevo. Non facevo una vita da ragazza normale, questo sì, e pensavo ormai che quello fosse il mio mondo. Dove andavo, del resto? In via Montenapoleone a fare le vasche?

Cominciai a capirlo, che era un sex addicted, come si dice oggi, quando andammo per la prima volta insieme all'Elba. Io ero timidissima, adorante, mi pettinavo in continuazione per l'insicurezza. Scoprii in quei giorni che si era fatto una sveltina con la proprietaria dell'albergo. Perché, mi chiedevo? Se sei innamorato, perché? Non capivo. Ero straziata. Non c'era una vera ragione. Lo faceva così per assecondare la libidine del momento. Mi ritrovai coinvolta in situazioni che non ero psicologicamente pronta ad affrontare. Incontri orgiastici, sfrenate partouze. Strehler dettava le regole. Non voleva assolutamente che qualche uomo mi sfiorasse. Solo lui poteva toccarmi. Lui non aveva limiti, poteva toccare chi voleva, lui era il sultano. Meno male, mi sono detta col senno di poi, che non c'era l'Aids.

Se mi chiedi perché l'ho fatto, non lo so. L'ho lasciato anche per quello, Strehler. Non si può, non fa bene. A un certo punto, una ragazza di vent'anni vuole anche concedersi svaghi innocenti, ogni tanto andare al mare, divertirsi, ballare. E invece era tutto molto pesante. Si prendeva anche molta cocaina, che è mortale perché quando finisce l'effetto ti viene un down che ti vuoi suicidare. Notti di eccessi che si prolungavano fino all'alba. (...)

La mia storia con Strehler non è finita in modo indolore. Lui diceva: "Con te non posso vivere più, senza te non vivo più". Io l'avevo tradito con Renato Salvatori. Nel letto me lo aveva messo Luchino Visconti, che aveva questa passione di fidanzare i suoi uomini. (...)

GINO PAOLI, UN VERO COLPO DI FULMINE
Quello, per Gino Paoli, fu un vero colpo di fulmine. Era il 1960. Stavo nella sede milanese della Ricordi con Leo Chiosso e Mariano Rapetti, il padre di Mogol. Vedo passare questo tipo smilzo, lugubre, con gli occhiali da cieco. Stava insieme a Ricky Gianco. Sai, quando stai in mezzo a tanta gente e senti una presenza, la senti tra tanti, e non puoi fare a meno di sentirla? Si chiama magnetismo. Gino va in uno studio, lo sento che suona qualcosa al piano. Orrendo. Suonava malissimo. Ma suonava "Il cielo in una stanza".

"Chi è quello?", faccio. "Uno che scrive canzoni tremende, mi sa che è anche un po' culattone", mi risponde uno. Ho saputo poi da Gino che, nello stesso esatto istante, lui chiedeva di là: "Chi è quella rossa?". "La cantante della mala. Dicono sia lesbica". Per un po' ci siamo frequentati convinti l'uno dell'omosessualità dell'altro. Facevamo lunghe camminate, io con le caviglie gonfie, lui con il suo montgomery che gli aveva regalato la mamma triestina per proteggerlo dal freddo.

Finché una sera, stremati, ci siamo seduti in un caffé, quello per l'appunto della canzone di Paoli "In un caffè", e ci siamo svelati. "Tu sei gay?". "No, e tu?". "Io nemmeno". Fu il nostro coming out al contrario. Non ci restava che amarci. Abbiamo fatto l'amore e ho detto: "è stato bellissimo!". E lui: "Lo sapevo benissimo". In seguito, mi confidò" di avere imparato l'amore da me. Io per lui ero una donna di mondo. Venivo dai fasti molto chiacchierati di Strehler. (...)

Per togliermelo dalla testa ci ho messo un sacco di tempo, diciamo anni. Frequentavo altri uomini ma la sua faccia da gatto sornione mi passava sempre davanti. Posso dire che l'ho amato, ma posso dire anche che è stato un amore che non si è consumato, interrotto traumaticamente, un amore troppo difficile. Lui era ‚"troppo" sposato per i miei gusti. E allora mi sposai anch'io, con Lucio Ardenzi, impresario teatrale. Ma ero ancora innamorata di Paoli.

Il giorno delle nozze non mi sarei dovuta presentare, avrei dovuto dire a Lucio la verità, sarebbe stato più leale. Ma non ho trovato il coraggio. Gino mi aveva detto che sarebbe venuto in chiesa a suonare per noi "Il cielo in una stanza". Mi mandò invece il giorno del matrimonio un album di fotografie con alcune sue didascalie. In una foto si vedeva lui di spalle e sotto la chiosa: "Oggi sono infelice". In un'altra c'eravamo io e Lucio Ardenzi, lui mi teneva in braccio e io ridevo. La didascalia di Gino: "Questo è davvero troppo per me". La nostra storia continuò. E il mio matrimonio con Lucio finì, mentre aspettavo nostro figlio Cristiano. (...)

HUGO PRATT, UN AMORE PERDUTO
"Hugo Pratt è stato un amore perduto. L'amore perduto. Volevo finire la mia vita raggomitolata al suo fianco, sentirlo parlare, raccontare, con il suo veneziano avvolgente, perché lui non era solo un uomo, lui era un mondo intero, era il mondo. Un irresistibile affabulatore. Era come Borges: tu ti sedevi, lui parlava e non sapevi mai dov'era il confine tra verità e finzione. Ascoltare Hugo mi dava la stessa emozione. Borges ha fatto sette conferenze a Buenos Aires e io sono andata a tutte e sette. Era un incantatore. (...)

Ho sempre pensato che Hugo e Vinicius de Moraes fossero profondamente simili. Hugo la vita l'ha vissuta e l'ha disegnata. Vincius l'ha vissuta e l'ha scritta. Entrambi amavano le donne, l'essenza della donna, la differenza della donna. Il sesso veniva dopo. Hugo mi raccontava di una sua amica con cui parlavano e ridevano così tanto, che non sono mai riusciti a fare l'amore. La parola, il racconto, non erano l'antefatto, per lui erano già carne, sesso alla massima potenza.

È successo così in fondo anche tra di noi. Non sono mai finita in un letto con lui. Non abbiamo mai fatto l'amore. Era la sua testa che m'interessava. Entrarci dentro e restarci a vita. Ci sentivamo quasi tutti i giorni, ma non abbiamo fatto in tempo a diventare amanti. Se gli fossi stata più vicino, forse un giorno sarebbe successo. Mi manca la controprova, ma continuo a pensare che al suo fianco e acquattata nella sua grande testa avrei passato degli anni sereni e belli. (...)

LA MUSICA, CRAXI E IL SUO DELFINO SILVIO
Non posso dire di essere stata intima con la famiglia Craxi. Però, li frequentavo spesso, ricordo un bellissimo viaggio in Senegal. Bettino era sicuramente un leader, ne aveva la statura e la vocalità. Questa voce ben timbrata, le pause giuste. Quando parlava, lo si ascoltava con attenzione, aveva carisma. Nessun leader può essere tale senza una voce convincente. Qualche volta sono stata a casa sua, con Caterina Caselli, la figlia Stefania, il figlio Bobo. Era un uomo eccezionalmente simpatico, adorava la musica come il suo delfino Silvio Berlusconi.

Gli amici di Craxi si dividevano in due gruppi ben distinti, quello romano e quello milanese, che tra loro non avevano alcun contatto. Era così anche per le donne. Bettino aveva a Milano la donna cui voleva bene, la moglie Anna, e a Roma la donna per cui aveva perso la testa, Ania Pieroni. Donna molto sensuale, spesso veniva ai miei concerti. Io non ho mai chiesto niente a Craxi che potesse essere utile al mio lavoro. Non mi sono piuttosto accorta di essere stata usata io dal Partito socialista.

Una volta venne l'ex sindaco Tognoli (che mi è sempre molto piaciuto) per offrirmi di presentarmi alle elezioni, nella lista civica. "Lasciami pensare", risposi. Il giorno dopo uscì sul giornale la notizia. Mi seccai molto. E risposi che Milano era in overdose di socialismo. Pillitteri replicò: "Se la Vanoni è in overdose, posso darle degli ottimi indirizzi di centri di disintossicazione". So per certo che anche Craxi s'incavolò a morte con me. Disse a una nostra amica comune: "Ha attaccato il partito e il partito sono io. Non la ostacolerò, ma non l'aiuterò mai". (...)

ARDENZI, IL PADRE DI MIO FIGLIO
Ardenzi era un grande impresario, fin troppo compreso nel suo ruolo. S'inventò attori importanti, produsse grandi spettacoli, si batté da privato come un leone contro lo strapotere del teatro pubblico. Era la sua vanità, che diventava arroganza. Un giorno mi confidò che a lui, più che la coppia Lucio-Ornella, lo eccitava la ditta Ardenzi-Vanoni. Quando mi volle come protagonista de L'idiota di Achard e io fui una rivelazione, lui era al settimo cielo. Capii che, in fondo, era un problema tra lui e Strehler. Una roba tra uomini. Lucio, in realtà, come protagonista pensava a Monica Vitti o a Lea Massari, ma voleva dimostrare che lui aveva visto più in là di Strehler, che poteva fare di me una grande donna. (...)
Non parlo volentieri di Lucio Ardenzi. L'ho sposato che avevo ventisei anni, l'età giusta, ma non l'uomo giusto. Non l'ho mai amato. Ero una donna sperduta. Avevo lasciato Strehler, mi ero ammalata di tisi, c'era Paoli di mezzo e lui, Lucio, era un uomo così vanitoso. Una vanità sproporzionata. Abbiamo avuto un figlio che amo, Cristiano, e questo giustifica ampiamente la nostra storia. (...)

DANILO SABATINI, SPUDORATO TRADITORE
Parlavo prima delle corna che m'infliggeva Gino Paoli. Un altro che mi tradiva spudoratamente era Danilo Sabatini, un maremmano gigantesco, l'uomo con cui sono stata più a lungo. Più che un marito. Era così giocoso con le donne, così ilare e sboccato con il sesso, così esplicitamente mascalzone, che non riuscivo mai a prenderlo veramente sul serio. Le sue corna mi facevano più ridere che soffrire. Era un tipo molto disinibito. Insomma, non ti veniva proprio di fargli una scenata di gelosia. Mi diceva: "Sai Ornella, io quella là non mi ricordo se l'ho scopata, ci ho ballato o ci ho mangiato". L'incontro con il maremmano fu molto importante per me. Mi restituì equilibrio e fiducia in me stessa.

MICHELANGELO, IL GRANDE ABBAGLIO
Il grande abbaglio invece fu Michelangelo Romano, un produttore discografico che aveva quattordici anni meno di me. Una storia strana, d'incantamento. L'ho conosciuto e ci siamo come reciprocamente stregati. Vivevamo sospesi su una nuvola rosa. Due angeli caduti dal cielo, Ornella e Michelangelo. Frequentavamo i più bei ristoranti della riviera e nessuno ci faceva mai pagare. Una specie di magia anche questa, se consideriamo la parsimonia dei liguri. Ma le magie durano poco. Tornati a Milano, fu la catastrofe (...). L'accanimento terapeutico c'è anche in amore. Quel tipo aveva la vitalità del lago di Massaciuccoli. Lui è rimasto lago, io oceano.

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Messaggio Da anna Ven 4 Nov - 14:34


La London Symphony Orchestra Omaggia Fabrizio De André In ‘Sogno N°1’


La voce di Fabrizio De André incontra le note della London Symphony Orchestra diretta da Geoff Wesrtley in un tributo discografico in uscita il 22 novembre con il titolo Sogno N°1 (Nuvole/Sony). Il produttore inglese e la prestigiosa orchestra hanno registrato nel mese di settembre agli Abbey Road Studios di Londra, interpretando le musiche di De André con grande sensibilità artistica, traducendole in vere e proprie partiture originali. A rendere il tutto ancora più suggestivo è stata la sovrapposizione della voce di Faber. Le canzoni che fanno parte del disco sono: Le nuvole, Laudate hominem, Hotel Supramonte, Preghiera in gennaio, Rimini, Ho visto Nina volare, Disamistade, Anime salve, Valzer per un amore e Tre madri. Il disco sarà in vendita in tutti i negozi tradizionali e negli store digitali e verrà presentato al pubblico il 29 novembre alla Feltrinelli di Genova e il 6 dicembre alla Fnac di Milano.

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Messaggio Da anna Dom 6 Nov - 23:49

MTV EMA 2011: tutti i vincitori. Worldwide Act: Lena non ce la fa.

Si sono appena conclusi gli MTV Europe Music Awards e molti eurofans erano lì a seguirlo per conoscere il vincitore o la vincitrice del Worldwide Act, dove per l’Europa c’era proprio la ‘nostra’ Lena, vincitrice dell’Eurovision Song Contest 2010. Purtroppo nè Lena (e nemmeno una delle favorite – Britney Spears – per il Nord America), ce l’hanno fatta. A vincere il Worldwide Act sono stati i BigBang per Asia/Pacifico. Ma in un evento come questo, dove a vincere sono sostanzialmente i cantanti e i gruppi con i fans più ‘agguerriti e attivi’, non stupisce questo risultato, così come i vari premi assegnati (l’elenco dei vincitori di seguito).

Best Live: Kety Perry
Best Female: Lady Gaga
Best Male: Justin Bieber
Best New: Bruno Mars
Best Pop: Justin Bieber
Bigget Fan Award: Lady Gaga
Best Alternative: 30 Second to Mars
Best Song: Lady Gaga
Worldwide Act: BigBang
Best Video: Lady Gaga
Non sono mancati poi i colpi di scena ‘extra’, come l’intruso che durante la premiazione con Hayden Panettiere sul palco (la giovane protagonista della serie tv Heroes) si è presentato completamente nudo e con tutti i ‘gioielli di famiglia’ in vista. Difficile immaginare non fosse tutto preparato a tavolino da parte dell’organizzazione, visto il mancato intervento della security. Diciamo che ha movimentato un po’ la serata (sotto una immagine del momento in cui si trovava faccia a faccia con Hayden Panettiere).

Spoiler:

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Messaggio Da ubik Ven 25 Nov - 20:47

Danilo Sacco lascia i Nomadi

La notizia è di pochi minuti fa. Il cantante Danilo Sacco ha deciso di lasciare i Nomadi. L’annuncio improvviso che arriva durante il tour, che sta vedendo impegnato il gruppo nelle principali località italiane.

In una nota diramata su Facebook dallo staff del gruppo si legge che “Beppe, Daniele, Cico, Massimo, Sergio, Maurizio e tutto lo staff prendono atto ora della decisione di Danilo di lasciare il gruppo. Le motivazioni di questa scelta sono solo dentro di lui. Gli auguriamo buona fortuna. Siamo comunque tutti insieme a dirvi che la storia dei Nomadi continua più forte che mai”.

Danilo Sacco era diventato voce solista nel 1993 dopo la prematura scomparsa del carismatico co-fondatore Augusto Daolio. Il 22 maggio 2009, durante un altro tour della band, Sacco era stato ricoverato all’ ospedale di Asti per un infarto e aveva subito un intervento di angioplastica primaria. Per diversi mesi le canzoni del gruppo vennero cantate da Sergio Reggioli, Massimo Vecchi e Cico Falzone.

Poi il ritorno sul palco di Sacco, nato nel ’65 proprio mentre Beppe Carletti e Daolio davano alle stampe il primo, misconosciuto 45 giri dei Nomadi (due brani Donna, la prima donna e Giorni tristi), sul finire dell’estate 2009 non è di certo di buon auspicio. Prima le difficoltà fisiche di rimanere in scena per più di un’ora, poi le dure parole indirizzate al leader della band Beppe Carletti: “ I Nomadi sono un’azienda, non una famiglia, e tutti noi siamo dipendenti di Beppe Carletti. È giusto che sia così. (…) Però, di spazio per i tuoi sogni, nessuno. Ora devo riprenderli in mano. (…) Mi sto preparando a una vita con più Danilo Sacco e meno Nomadi”.

Spiazzante e risoluta, la lenta separazione dai Nomadi si fa sempre più chiara. Diciotto anni dopo e con un tour in atto (a Borgotaro – Parma, il 3 dicembre è già esaurito; per Bologna il 15 dicembre non ci sono quasi più biglietti) Sacco sul suo sito web, seguendo il modello del social rocker Vasco Rossi, posta una lunga lettera intitolata Oggi.

Le ultime righe, quasi un poema cavalleresco, un Cyrano alla Guccini, confermano la voglia di diventare solista: “Vorrei ringraziare tutti i miei meravigliosi compagni Nomadi, per ciò che abbiamo condiviso e realizzato in anni ed anni di musica. Sono stati i migliori compagni che un uomo potesse sognare di avere. Comincia una nuova vita. Una nuova avventura. Dovrò riflettere molto. Passerà un po’ di tempo prima che ci rivedremo ma il ricordo che avrò di tutti Voi mi accompagnerà per sempre. Questa è una promessa. Questo è un giuramento. Miei Capitani, io vi saluto. E mi inchino davanti a tutti voi. Amici o nemici che siate. Grazie”.

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Messaggio Da anna Sab 26 Nov - 12:39

Quattordicimila e un re del pop
La lunga notte di McCartney
L'ex Beatle è arrivato a Bologna con un volo privato: prova del suono, notte all'ex Baglioni e stasera sul palco alto 24 metri, 3 maxischermi. Mistero sulla scaletta, anche se ieri è stata provata a lungo "All you need is love"


È sobrio e imponente il palco dell'Unipol Arena, visto la sera prima, e già pronto per quella vera: il concerto di Paul McCartney, stasera a Casalecchio. Tre schermi giganti, da dove sarà possibile godersi, se non s'ha la fortuna di stare nelle primissime file, lo show di sir Paul, la leggenda del rock che qui ha deciso di fare la prima delle undici date del suo ultimo tour "On the Run".


Ed è sobrio anche il look dell'artista, atterrato in città ieri verso le 17.30 con un volo privato, un Falcon 900 partito da Londra, e dopo neanche mezz'ora già impegnato nelle prime prove del suono. Giacca e pantaloni blu scuro, camicia blu elettrico, così s'è presentato l'ex Beatles all'Unipol Arena. Blu anche le luci sul palco, alto circa 24 metri, mentre di fronte a sé l'artista si è ritrovato una lunga fila di poltroncine ricoperte di bianco.

Dopo le prime prove di ieri, finite verso le 22.30, altre ce ne saranno oggi, in tarda mattinata. Alle 18.30 si apriranno i cancelli e poi alle 21 s'avvierà l'atteso concerto, rigorosamente top secret. Poco
o nulla si sa della scaletta dei brani, ma certamente nella lista non mancheranno le canzoni che l'hanno reso celebre con i Fab Four. Tra le hit provate ieri c'è anche "All you need is love", mentre dal maxischermo un'esplosione di fiori colorati accompagnava l'esibizione. E poi altri brani della sua carriera da solista, suonati ieri durante le prove, dividendosi fra l'amato basso a quattro corde Epiphone e il nero pianoforte Yamaha, mentre tra una pausa e un'altra controllava il cellulare.

Il musicista aveva fissato, per la notte scorsa, di dormire al Grand Hotel Majestic in via Indipendenza (l'ex Baglioni, dove fin dal pomeriggio stazionavano frotte di fans), mentre è non chiaro se si fermerà anche stasera in città o rientrerà a Londra. Sono stati venduti pressoché tutti i 14 mila biglietti a disposizione, ma pochissimi tagliandi sono ancora a disposizione (per informazioni, Gruppo Sabatini, 051 602011).

La data bolognese è stata scelta da McCartney per aprire il suo tour di undici date. Domani suonerà a Milano, poi altre tappe in giro per l'Europa per concludere nella sua Liverpool. Alcuni numeri bene spiegano la consistenza del concerto di stasera: oltre 300 persone coinvolte per realizzare lo show, 31 camion (su cui campeggia la scritta You rock We roll), 10 uffici, 6 camerini, 480 pasti serviti al giorno (rigorosamente vegetariani), 130 speakers e oltre 900 metri di transenne. Oggi sarà attiva la linea Atc 675, navetta diretta con corse ogni 15 minuti, senza fermate intermedie, fra la stazione e l'Unipol Arena di Casalecchio (dalle 17 alle 20, andata e ritorno a 4 euro).

È un concerto storico per la città, per la prima volta visitata da un ex Beatles. Tutti i dettagli sono stati curati dallo stesso McCartney. Gli aneddoti sull'artista, infatti, si sprecano. Quando sir Paul scoprì che John Lennon mise mano a sua insaputa al classico "The long and winding road" andò su tutte le furie. Cercò inutilmente di impedirne l'uscita e subito dopo annunciò di aver lasciato la band. Chissà se McCartney regalerà anche questa amata-odiata canzone ai suoi fan bolognesi.

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Messaggio Da anna Lun 28 Nov - 15:47

Paul McCartney live @ Mediolanum Forum, Assago, 27/11/2011


Quando mai ti ricapita di vedere un pezzo così importante di storia del rock?

Perché Paul McCartney mancava da 8 anni dall’Italia, e da molti di più da Milano. Così l’arrivo a Milano di quel che resta dei Beatles è stato un evento. Il secondo, in un anno: Ringo è passato quest’estate. Ma Paul è Paul.

L’ “On the run tour” sbarca a Milano dopo il debutto europeo della sera prima a Bologna. L’impatto con il Forum non è dei migliori: immerso nella nebbia della periferia milanese (magicamente scomparsa all’uscita), è facile perdersi persino nel parcheggio. Poi, una volta entrati, si viene accolti da musica improbabile: cover dei Beatles diffuse per ingannare l’attesa. Un po’ di cattivo gusto, diciamolo.

Poco dopo le nove, però, Macca sale sul palco e l’emozione del pubblico vola alle stelle in un nanosecondo.

Perché McCartney mette subito le cose in chiaro: arriva vestito con un completo nero e basso Höfner a tracolla, attacca “Hello goodbye”. Se non fosse per le rughe che gli segnano il volto, per l’improbabile colore rossiccio di capelli, si potrebbe quasi pensare ad un filmato d’epoca dei Beatles, reso a colori e proiettato su un megaschermo: lo sguardo è lo stesso di decenni fa. Hai immediatamente la sensazione di avere di fronte uno degli uomini più importanti non solo della storia della musica, ma della cultura popolare. Uno che in Italia non si fa vedere spesso: dettaglio che amplifica la sensazione.

E lui farà di tutto per tenerla viva per tutta la sera, quella sensazione, alternando molte canzoni dei Beatles, a numerose dei Wings. Ma la gente ha esattamente quello che vuole: i classici, cantati come Dio comanda. Perché a 69 anni suonati Macca dimostra una gran forma fisica, ed ha una band che sa il fatto suo. Lui, si alterna tra basso, chitarra elettrica ed ukulele. Parla, e parecchio: accenna parole in italiano; sorride e fa smorfie, con il suo faccione rimandato dai megaschermi verticali a lato palco. Insomma, si diverte, e si vede.

Così gli perdoni tutto: persino qualche trovata trash, come i botti e i fuochi d’artficio su “Live and let die”, che per un attimo fanno pensare ad un concerto degli Ac/Dc (e che Macca liquida con una smorfia ironica mettendosi le dita nelle orecchie, come a dire “Che casino!”). Gli perdoni soprattutto il terribile megaschermo che incombe su un palco ampio e perfettamente costruito, se non fosse per quelle che immagini che accompagnano le canzoni. Immagini che ora sembrano dei brutti salvaschermi di Windows (galassie, foto che si animano), ora scivolano nell’inutile didascalia (aerei su “Jet”, autostrade e macchine su “Drive my car”, paesaggi su “The long and winding road”).

Ma le canzoni, il repertorio, la potenza dell’icona sono talmente forti che questi sono tutti dettagli secondari; è una festa, un jukebox collettivo: basterebbe il coro di “Hey jude” per giustificare la serata….



Invece ci sono classici, qualche sorpresa dal repertorio, citazioni per gli amici scomparsi (“Something” per George, “Give peace a chance” messa in coda ad una strepitosa di “A day in the life”). C’è un concerto che nella seconda parte prende il volo per non fermarsi più, con i bis che sono una festa vera e propria. E c’è tanta emozione.

Perché lo pettacolo nello spettacolo è il pubblico: variegato, di ogni età. E felice, felice come una pasqua nelle quasi tre ore di concerto, non si può non guardarsi intorno e vedere i volti estasiati di chi ha atteso una vita per cantare a squarciagola quelle canzoni. Un pubblico che ha ottenuto esattamente quello che voleva, nel miglior modo possibile.

(Gianni Sibilla)

SETLIST:

Hello, Goodbye
Junior’s Farm
All My Loving
Jet
Drive My Car
Sing the Changes
The Night Before
Let Me Roll It
Paperback Writer
The Long and Winding Road
Come and Get It
Nineteen Hundred and Eighty-Five
Maybe I’m Amazed
I’ve Just Seen a Face
I Will
Blackbird
Here Today
Dance Tonight
Mrs Vandebilt
Eleanor Rigby
Something
Band on the Run
Ob-La-Di, Ob-La-Da
Back in the U.S.S.R.
I’ve Got A Feeling
A Day in the Life / Give Peace A Chance
Let It Be
Live and Let Die
Hey Jude
Encore:
The Word/All You Need Is Love/She Loves You
Day Tripper
Get Back
Encore 2:
Yesterday
Helter Skelter
Golden Slumbers / Carry That Weight / The End

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